14 Maggio 2019 65 commenti

Game of Thrones ultima stagione – Il quinto episodio di Diego Castelli

L’episodio di Game of Thrones che cambiò tutto

Copertina, Olimpo, On Air

ATTENZIONE! SPOILER DETTAGLIATI DELLA 8X05

Mentre scrivo queste righe sono seduto alla scrivania di un albergo di Cannes, dove mi trovo per lavoro. Avevo pensato di non fare il riassunto di questa settimana, o di rimandarlo di vari giorni, cercando di giustificarmi dietro un “beh insomma, il lavoro vero è più importante”.
Poi però ho visto la puntata due ore prima di partire e, come spesso dicono i francesi, mi sono risposto “col cazzo”. (chiedo però preventivamente scusa per qualche refuso di troppo dovuto alla fretta)

La 8×05 è una puntata clamorosa, degnissima erede dei proverbiali “penultimi episodi di Game of Thrones”. Il che non vuol dire che sia perfetta, perché la perfezione non è di questo mondo, perché il giudizio personale sulle scelte di uno sceneggiatore o di un regista sono per definizione soggettive, e perché Game of Thrones è ormai un fenomeno così grosso, seguito da persone così diverse, che pensare a una vera uniformità di giudizi è impossibile.
È però clamorosa innanzitutto per i valori produttivi, perché questa volta si sono viste cose, alla piena luce del sole, che in tv semplicemente non avevamo mai visto, e perché gli autori hanno cercato di dare una quadratura a una molteplicità di cerchi che, pur fra qualche difficoltà, sono riusciti a “stare insieme” in un tutto che ha fornito risposte precise a domande precise. Poi che le risposte piacciano o no, è un altro discorso e meriterebbe un articolo a parte, visto che in queste settimane, accanto a giudizi anche aspri ma sinceri e basati su una reazione precisa al qui e ora della serie, abbiamo visto anche troppi pre-giudizi, valutazioni date non sulla base di quanto visto, bensì sulla base di quello che ognuno avrebbe voluto vedere. E se è vero che tutti possono dire la loro come e quanto vogliono, è altrettanto vero che io avrò sempre un occhio di riguardo verso chi è chiamato a scrivere una storia con sul collo il fiato di una rete che, con ogni probabilità, gli ha detto “riusciremo a piacere a tutti, vero?”

No, non si può piacere a tutti. Ma si può piacere a molti. E si può piacere a me. E siccome questo specifico receriassunto lo scrivo io, siamo a posto.

Come al solito, il previously titilla le papille gustative. Si sente Tyrion dire “non distruggere King’s Landing”, che in pratica è una strizzata d’occhio. Si rivede Brienne pregare Jaime di stare con lei. Ritroviamo Sansa che chiede a Tyrion se non esista qualcuno meglio di Daenerys. Soprattutto, si rivede il volto furente della Regina dei Draghi, accompagnato da parole vecchie e nuove sulla dinastia Targaryen, da sempre maledetta, sui draghi da risvegliare, sulle monete lanciate dal destino.
Insomma, è un previously spoileroso, esplicitissimo. È un errore? No, è voluto così, perché il tempo delle sorprese, o almeno di un certo tipo di sorprese, è finito: ora le carte sono sul tavolo, e il fato rotola come un masso che non si può più fermare.

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Si inizia con Varys che scrive una specie di diario, forse una lettera, in cui parla apertamente del lignaggio di Jon Snow. Una bambina entra e spiega che Daenerys (non nominata, ma evidente) non mangia niente. E per quanto l’alimentazione della regina non sia mai stata una tema particolarmente esplorato, la faccenda è palesemente inquietante.

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Tyrion sulla spiaggia. Accoglie l’arrivo di Jon Snow, che poi parla anche con Varys. Il pelatone riporta le informazioni ricevute: Daenerys non riceve nessuno e non mangia. Varys è evidentemente preoccupato, ma Jon non molla la sua fedeltà alla regina. Varys, che col piedino si sta già scavando la fossa, fa notare che sono gli uomini a decidere dove sta il potere (nel senso di “la gente”, non nel senso dei maschi). E già che c’è aggiunge che lui sta cercando il vero erede del trono di spade. In quel momento Jon capisce che l’eunuco sa tutto, lascia perdere ogni cautela, e ribadisce che non vuole per sé il trono, perché Daenerys è la sua regina. L’ostinazione di Jon e Tyrion nel difendere Khaleesi è ormai compulsiva, parossistica, e palesemente inadeguata alla situazione. Lo sappiamo noi, ma cominciano a saperlo anche loro.

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Finalmente la vediamo, sta regina. Tyrion la raggiunge, e Daenerys è sfatta. Occhiaie, capelli a caso, è vestita come al solito ma sembra in pigiama. Dice che qualcuno l’ha tradita, e Tyrion conferma, pensando a Varys. In realtà, però, Daenerys si riferisce a Jon. Ed effettivamente non ci stavamo più pensando, ma Jon ha davvero tradito la fiducia della compagna/zia quando ha rivelato la sua vera identità a Sansa. La scena è fondamentale per la psicologia di Daenerys, che in questo momento si sente completamente sola. Tyrion le parla alle spalle, Varys cospira contro di lei, Sansa complotta a più non posso usando i segreti di Jon come un’arma, e ora non ci si può più fidare nemmeno di Jon stesso. Il livello di paranoia a cui Daenerys è arrivata le si legge nel volto e nella voce senza possibilità di errore, e il tentativo di Tyrion di ricordarle come tutti avevano creduto nel suo sogno non ha alcun effetto. Probabilmente perché quel sogno è svanito.

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Arriva per Varys il momento di pagare per il suo tradimento. Verme Grigio lo preleva nella sua stanzetta e lo porta al cospetto della regina. Daenerys non ha esitazioni e lo fa bruciare dal drago. Altro momento fondamentale: è forse la prima volta che la parola “dracarys” viene usata per bruciare un personaggio di cui ci importa e che in quel momento ci sembra senza dubbio dalla parte dei buoni (per quanto non sia certamente uno stinco di santo). Non a caso, Jon guarda la parente con sguardo molto turbato, perché il cambiamento è evidente. Notevole anche la messa in scena, con il drago che spunta dal buio con le fattezze di un vero e proprio “mostro”. Ora possiamo anche dircelo, perché è il momento di rendersene conto: sti draghi sono mai sembrati davvero affidabili? Veri strumenti del bene? No.

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C’è spazio per un breve momento fra Daenerys e Verme Grigio, in cui ricordano Missandei (serve più che altro a rinvigorire la lealtà dell’Immacolato). Poi Khaleesi chiede a Verme Grigio di parlare da sola con Jon, e lo fa in una lingua che il Re del Nord non capisce. È già simbolo di allontanamento, di nuove alleanze. Il dialogo fra i due è freddo e inevitabile: Daenerys accusa Jon di averla tradita e parla malissimo di Sansa. Jon non reagisce e continua a ribadire che lei è la sua regina ma, quando lei cerca di baciarlo, capiamo che la devozione di lui è ormai puramente meccanica, automatica, ma sempre meno sentita. E qui c’è anche la frase cardine del futuro della donna, quando dice che intorno a lei non vede amore, ma solo paura, e subito dopo accetta che sia la paura (ben più che l’amore) a nutrire il suo potere.

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Giusto per non sbagliarci, Daenerys conferma il suo zompettare verso il lato oscuro con un ulteriore dialogo con Tyrion. Il nano chiede che il popolo di Approdo del Re venga considerato per quello che è: un ostaggio di Cersei, più che un suo alleato. Ma Daenerys, che ricorda le volte in cui la gente si era sollevata per sostenerla, non è mica troppo d’accordo, e spiega che la compassione che Cersei vede in lei, e che considera una debolezza, può diventare una forza, a patto che sia considerata come compassione verso “le future generazioni”. Un discorso semplicemente folle, da despota vera, in cui Daenerys pre-giustifica qualunque massacro in nome di un bene superiore. Ma da che mondo è mondo, e da che narrativa è narrativa, gli eroi non sacrificano MAI gli innocenti in nome di un bene superiore, a meno che quel sacrificio non sia esplicitamente scelto, o non sia il loro. Nel momento in cui Daenerys impone ad altri un sacrificio, diventa un villain, senza se e senza ma. Un cattivo, però, che non si compiace della sua malvagità, perché non la ritiene tale.
Già che ci siamo, Daenerys fa anche sapere a Tyrion che Jaime è stata catturato mentre cercava di raggiungere la sorella. Un altro in meno di cui fidarsi.

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Breve intermezzo con Jon che parla a Tyrion dell’attacco imminente, subito dopo ecco l’immagine degli abitanti di Approdo che cercano preventivamente di mettersi in salvo. E nei nostri occhi sì, sono innocenti. Tyrion intanto chiede un favore a Davos, lui che è il miglior contrabbandiere del mondo. Davos accetta, perplesso (scopriremo poi che deve procurare una barchetta per l’ipotetica fuga di Cersei e Jaime).

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Il Mastino e Arya stanno per entrare ad Approdo. Un soldato cerca di fermarli. Mastino dice che se Arya passa e uccide Cersei, la carneficina è evitata. Il soldato, che ha già organizzato un barbecue a Buccinasco per il week end e gli scoccerebbe rinunciarci, accetta di buon grado.

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Tyrion prende a male parole un Immacolato che voleva impedirgli di incontrare Jaime e raggiunge il fratello. È una scena abbastanza toccante, anche se lo ritengo uno dei dialoghi meno riusciti dell’episodio. All’inizio si cerca di giustificare il fatto di per sé bizzarro che Jaime sia stato catturato così facilmente. Vero è che non è mai stato un ninja, le sue qualità erano ben altre, però la sua giustificazione è “Cersei ha sempre detto che ero il Lannister più stupido”, cosa che fa abbastanza sorridere, ma non so se nel mondo giusto.
L’oggetto di gran parte del dialogo è proprio Cersei: Tyrion crede che Jaime possa convincerla a fuggire con lui, cosa che salverebbe migliaia di vite. Jaime non è così sicuro che le intenzioni di Cersei si possano prevedere e, se è vero che ci ha sempre tenuto ai suoi figli (compreso quello che ora porta in grembo), è altrettanto vero che le cose peggiori che ha fatto le ha fatte proprio in nome dei figli.

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A non convincere completamente è la rapidità (e la rigidità) con cui Jaime è tornato a essere un cucciolo di Cersei. E voglio essere chiaro, non la trovo una cosa sbagliata di per sé, perché il nucleo del personaggio è proprio quello. È sempre stato così, e per quanto abbia provato a cambiare, il suo è un amore tragico nel senso più antico del termine, un amore che porta alla pazzia, che impedisce qualunque razionalità, che sfida ogni logica. In questo funziona, anche se forse è la consapevolezza con cui Jaime parla di questo problema a renderlo meno potente, perché sembra quasi un pazzo che sa di essere pazzo, e la cosa funziona fino a un certo punto. Ad ogni modo, Jaime accetta di provare a fuggire con Cersei, anche se crede che questo causerà la morte di Tyrion per mano di Daenerys. Tyrion spera nella clemenza, anche se ammette che “migliaia di vite innocenti contro quella di un nano non troppo innocente” sia in fondo un buon prezzo da pagare. Eccolo qui, il sacrificio personale: questo è l’eroismo che Daenerys non è più in grado di produrre.
La scena si chiude con l’abbraccio: i due erano amici un tempo, e Jaime era quello che difendeva il fratellino dalle angherie dei più grossi. Il commiato, che comprende le improvvise lacrime di Tyrion, può sembrare un po’ troppo carico, ma ha un valore chiaro nel suo essere definitivo: i due fratelli non si vedranno più, e lo sanno perfettamente. Da 2-3 episodi a questa parte, ogni volta che Tyrion apre bocca vediamo sgretolarsi il castello delle sue strategie e delle sue speranze. È una cosa che pesa come un macigno.

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Qualche immagine di intermezzo, non priva di utilità: ci vengono mostrate le campane, che Tyrion chiede a Jaime di suonare per segnalare la resa, vediamo la flotta di ferro che si prepara a combattere il drago, vediamo la gente di King’s Landing che cerca riparo. Sono indizi un po’ ingannevoli: le campane suoneranno, ma non per mano di Jaime; gli scorpioni sputeranno le loro frecce, ma il risultato sarà molto diverso dal previsto; la gente si nasconde, ma non avrà scampo. Gli autori giocano con alcune aspettative-chiave, sapendo che le ribalteranno, attirandosi insulti, ma attuando una strategia precisa.
Vediamo anche Arya e il Mastino dentro le mura, e Jaime che cerca di entrare.

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Fuori, la Compagnia Dorata si prepara alla battaglia. Occhio anche qui alle inquadrature: la regia si sofferma sui volti dei mercenari: persone comuni, uomini normali. In questo episodio c’è una continua umanizzazione del “nemico”, in profondo contrasto con quanto accaduto con i morti di due puntate fa, che scorre parallela alla progressiva de-umanizzazione di Daenerys.

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L’attenzione si sposta su Euron, che attende l’arrivo di Daenerys in sella al drago. Tutto fa pensare all’inizio di un gran macello, ma qui c’è la prima, importante, e palesemente temeraria, decisione degli sceneggiatori: tutte le forze sono in campo, apparentemente disposte per una nuova, grande battaglia di Game of Thrones. Ma non andrà così. Non sarà una battaglia, sarà un massacro. Il drago di Daenerys, in piena forma e consapevole dei pericoli posti dalle freccione di Euron, le schiva senza difficoltà e fa strage della flotta di ferro, dirigendosi poi verso le mura, dove porta nuova e incontrastata distruzione.
La scena è dirompente per la forza animalesca del drago, che mai avevamo visto dispiegata in questo modo. Soprattutto, rende davvero giustizia alla leggenda della Madre dei Draghi, che con uno solo di essi, alla piena potenza, si rivela più forte di qualunque esercito.
Allo stesso tempo, considerando il peso strategico che Euron aveva assunto negli ultimi episodi, la scena è palesemente pensata per sorprendere e per dividere. Ma è perfettamente in linea con l’obiettivo dell’episodio, che a conti fatti NON è quello di mettere in scena una nuova battaglia ad armi pari. Ma ci torniamo fra poco.

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Lo sguardo si sposta sulla Compagnia Dorata, pronta a combattere gli uomini del Nord. Ma quale combattere: l’esplosione che li annichilisce arriva da dentro le mura, dove il drago sta facendo quello che gli pare. Il capitano della compagnia, che non aveva detto nulla fino a quel momento ma su cui la regia aveva insisto come a farcelo ritenere importante, muore subito dopo per mano di Verme Grigio.
Questa è pura Game of Thrones, che ha da sempre il gusto per la creazione di personaggi apparentemente importanti che poi finiscono schiacciati anzitempo dalla ruota del destino (mi sovviene il nome di un certo Ned Stark, non so se ve lo ricordate…)

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Cersei guarda il drago distruggere la città, Tyrion cammina in mezzo ai cadaveri, Jon e gli altri penetrano nelle mura e fanno scorrere il sangue. Nei nostri cuori c’è un entusiasmo puramente visivo, un’energia guerresca, ma nei nostri occhi sappiamo benissimo quello che stiamo vedendo: questo non è un esercito di liberazione, è un esercito invasore. E fa tutta la differenza del mondo.

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Jon e i suoi, ormai dentro le mura e in mezzo alla devastazione, incontrano quel che resta degli uomini di Cersei. Sotto lo sguardo speranzoso del novello erede di casa Targaryen, i mercenari della regina Lannister abbandonano la lotta, con grande sollievo di Jon. Qualcuno, in lontananza, chiede che suonino le campane, e subito alla richiesta se ne aggiungono molte altre dello stesso tenore. Occhio perché la cosa è importante: la gente si sta sollevando. Non con le armi, ma con la voce, con la volontà. Gli abitanti di Approdo del Re stanno facendo esattamente quello che voleva Daenerys.

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E qui c’è il momento chiave, quello di più difficile gestione, riuscito in parte sì e in parte no. Daenerys aspetta le campane, come tutti. E lì per lì sembra pronta a fermare la strage. C’è un lungo momento di attesa, sembra che tutta Westeros stia aspettando, e alla fine le campane suonano. Non è stata Cersei a ordinarlo, e non è stato Jaime a tirare la corda. Non è merito dei protagonisti, sono le anonime persone comuni che hanno deciso di porre fine al massacro. Ancora una volta, tutto ciò che Daenerys voleva. Almeno sulla carta. Perché poi la Madre dei Draghi versa una lacrima di frustrazione, si alza in volo apparentemente diretta verso Cersei, e comincia a sputare fuoco sulla gente innocente.
Momento difficilissimo, si diceva. Perché quando un buono diventa cattivo, sarà sempre difficile accettarlo, e considerare quel momento come “quello giusto”. Allo stesso tempo, se diventa cattivo deve fare cose cattive, sennò di che parliamo? Personalmente, e nonostante la cosa sia stata preparata esplicitamente nell’episodio (ricordiamo il discorso su amore vs paura), in quel momento ho avuto una specie di moto di rigetto, non ci credevo fino in fondo.

Però è proprio qui che voglio inserire una riflessione ulteriore che ritengo decisiva: Daenerys è la cattiva finale di Game of Thrones. Non ci sono più dubbi su questo. E la sua è certamente una “trasformazione”. Allo stesso tempo, ciò che non si può dire è che sia casuale o arbitraria. Ripensiamoci oggi, con tutto quello che sappiamo: è la figlia del Mad King, sorella di un altro pazzo, e per lungo tempo abbiamo fatto il tifo per lei perché era piccola, fragile, malmenata e violata, e riusciva a rialzarsi con una forza letteramente soprannaturale. È stata fin da subito accompagnata da una missione mistica che in Game of Thrones è sempre inquietante, e nel corso degli anni ha continuamente alzato l’asticella della gente inerme uccisa per i suoi scopi. A tutto questo va aggiunta una serie infinita di tradimenti, che iniziano dal fratello che la vende nel primo episodio, passano per la strega che le ammazza Khal Drogo, per Jorah che viene allontanato per un periodo. E arrivano fino a Varys, Tyrion e soprattutto Jon: se anche quello che si era inginocchiato a lei, che le aveva giurato fedeltà ha fatto l’unica cosa che lei gli aveva chiesto di evitare (condividere con Sansa la sua vera identità), allora niente ha più senso. Tutti tradiscono, nessuno è con lei. Daenerys è a tanto così dal sedere sul trono di spade, ma di colpo non ha più senso perché letteralmente non ha nessuno per cui prendere quel potere. Tutti quelli che ha avuto accanto l’hanno distrutta e lei allora distrugge tutto. È questo il percorso che l’ha portata dal bagno bollente della prima puntata a quando è appollaiata su un torrione di Approdo del Re. Questo è un momento di passaggio, ma ora possiamo dirlo: no, Daenerys non è mai stata l’eroina della serie, e il senso di tradimento che ora sentiamo può sembrare in apparenza figlio di una sceneggiatura frettolosa, ma in realtà dipende solo dal fatto che non eravamo pronti e non lo saremmo mai stati.

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La reazione più importante alla mossa di Daenerys è ovviamente quella di Jon, che è sconvolto. I suoi ricominciano a combattere, così come gli uomini di Cersei, mossi a quel punto da puro spirito di sopravvivenza, e Jon cerca di fermare il massacro, mentre Verme Grigio, accecato dalla sete di vendetta e solo al mondo come la sua regina, si dà alla mattanza. È il momento più truce dell’episodio, non viene risparmiato nessuno, compresi donne e bambini inermi. Jon deve perfino arrivare a uccidere uno dei suoi, che stava cercando di approfittare della confusione della battaglia per stuprare una donna.
Vale la pena di fare subito un’altra riflessione. Qualcuno è rimasto deluso dal fatto che quella contro Cersei non sia stata un’altra battaglia campale, piuttosto una carneficina. Ma la verità è che un’altra battaglia campale sarebbe stata una ripetizione. Non avrebbe aggiunto nulla. Sarebbe stata una nuova lotta fra un esercito di buoni e un esercito di cattivi, terminata con qualche frase ad effetto prima di un’uccisione efferata ad opera di un drago, e basta. Il cambio di paradigma, la valenza metaforica dell’episodio, sta proprio qui: la battaglia ad Approdo del Re non ha nulla di nobile, o di “necessario”, come quella contro i morti. Quando gli uomini muovono contro gli uomini, questo il messaggio di fondo, la ragione smette di esistere, e rimangono solo il sangue e il dolore. Gli umani sono peggio di qualunque creatura soprannaturale, perché le loro guerre non sono epiche, sono solo sporche e malate. Non si poteva rendere meglio di così.

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Ci spostiamo su Jaime, che trova la barchetta promessa da Tyrion. Peccato che trovi anche Euron. In questo momento, la sfida fra i due amanti di Cersei ci sembra quanto mai inevitabile. Come prevedibile, Euron muore, ma lascia Jaime ferito mortalmente. Il tutto mentre Daenerys è finalmente arrivata a buttare giù la Fortezza Rossa pezzo dopo pezzo. Da segnalare la frase di commiato di Euron: “Sono l’uomo che ha ucciso Jaime Lannister”. Fa un po’ ridere, lì per lì, ma nasconde un fondo di amarezza: non l’hai ucciso tu, povero e semplice Euron, si è ucciso da solo ormai molti anni fa, quando ha deciso di amare la sorella.

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Inframezzata alla battaglia vediamo anche un momento di sconforto di Cersei, che piange al pensiero dello sconfitta. L’umanizzazione di Cersei nei suoi ultimi momenti di vita è un altro elemento quasi inevitabile dello sviluppo di Daenerys, ma lo ritengo uno dei meno riusciti: è troppo tempo che Cersei progetta di sterminare i suoi nemici sorridendo amabilmente. Il fatto che ora si faccia prendere da questo sconforto abbastanza scontato mi è sembrato troppo facile, anche se in fondo è il crollo delle sue certezze: è sempre stata convinta di essere comunque superiore a quella ragazzina che arriva dal deserto. Scopre di essere non solo mortale, ma anche molto meno temuta di Daenerys. Per lei, non c’è più posto in questo mondo.

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Non vedevamo Arya e il Mastino da un po’, e ora li ritroviamo in un altro momento metaforicamente importante. Il Mastino esorta Arya ad andarsene: lei non serve più, Cersei morirà comunque. Lui deve rimanere, ma la giovane Stark no. Questo è un altro pezzo di un puzzle destrutturante che è la chiave interpretativa principale di questo episodio: l’epica del “Winter is coming” non c’è più, Arya non è più l’eroina salvatrice, ma solo una ragazzina ancora giovane che rischia di morire per niente o, peggio, di diventare come il Mastino. La morte “per niente” è quella a cui sono stati condannati quasi tutti i personaggi deceduti in questo episodio, il Mastino lo percepisce e non vuole che Arya finisca nella spirale del caos. Lei lo capisce e, con sguardo quasi da bambina, lo chiama per nome e lo ringrazia, salutandolo.

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Sandor ritrova il fratello mentre sta scortando Cersei e Qyburn verso la potenziale salvezza. Il Mastino sfida silenziosamente a duello il fratello, che disobbedisce agli ordini di Cersei pur di combattere. E già che c’è decide di strappare applausi a scena aperta uccidendo quel viscido di Qyburn con totale noncuranza, quando lui cerca di riportarlo all’ordine. Dal canto suo, Sandor lascia andare Cersei: non gli interessa, e sa che il suo destino è comunque segnato.

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La regia qui è eccezionale, con le immagini del Mastino e della Montagna sullo sfondo del drago che vola sulla città. Roba da cinema vero. Lo scontro fra i due è subito feroce, e la Montagna perde l’elmo. Il suo è un volto di morte, più che di vita. “Sei tu, quello che sei sempre stato”, gli dice il Mastino. Parole di dolcezza, insomma…

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La scena successiva racconta in parallelo Cersei che incontra il gemello, Sandor che lotta con la Montagna, e Arya che cerca di sfuggire alla distruzione del drago. Soprattutto queste due ultime immagini sono volutamente accostate: quando Arya è a terra lo è anche il Mastino, ed entrambi combattono una battaglia più grande di loro. C’è grande tragedia nel Mastino che tenta di uccidere il fratello non-morto urlandogli “fucking die!”, e c’è grande tragedia nel modo in cui Arya, l’assassina del Night King, non riesce a salvare la povera gente che come lei fugge dalla devastazione. È un momento completamente privo di speranza, in cui l’addestramento, l’onore, le frasi fatte non servono più. Servono solo cuore e polmoni. Riusciamo a respirare solo quando il Mastino si getta con tutto il corpo contro la Montagna, sacrificandosi per finire con lui in mezzo alle fiamme. Una morte tutto sommato prevista, nelle sue modalità, ma ugualmente potente.
(E sottolineiamo che la Montagna prova a cavargli occhi come con Oberyn. Perché i tormentoni funzionano sempre)

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Altri dettagli da notare sono Jon che chiama la ritirata, in un momento in cui il drago fuori controllo (o meglio, sotto il controllo di una matta) sembra pericoloso anche per loro, e la caduta del campanile, che suona quasi come una beffa: sì, le campane tanto agognate da Tyrion hanno suonato, ma ora cadono inutili sotto i colpi di una regina che ha smesso di seguire i dettami della ragione.
Prima dell’ultima scena c’è ancora spazio per Arya che cerca di aiutare, ma che fallisce miseramente. La donna che l’aveva aiutata in precedenza muore, così come la figlia, in stile Pompei.

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Siamo alla fine, che è tutta per Cersei e Jaime. È una scena che potenzialmente si espone a variopinti ventagli di critiche, perché Cersei Lannister muore schiacciata da un soffitto caduto, senza la possibilità di scambiare alcuna parola memorabile con Daenerys, finendo anzi a implorare la salvezza sua e del suo bambino. Sono immagini che in qualche modo fanno male, perché cozzano con l’idea della regina Lannister che coltiviamo da tempo, e che spazzano via con forza qualunque speranza di assistere a un ultimo dialogo da antologia.
Eppure io vi dico che questa scena è perfetta, nonostante ci si sia arrivati con certi passaggi forse troppo rapidi, a cui si accennava prima. È perfetta proprio perché non si può criticare Game of Thrones per l’eccessivo fan service delle ultime due stagioni, per poi non applaudire la consapevole, precisa, studiatissima morte di ogni epica guerresca e cavalleresca. Dopo la morte del Night King io stesso pensavo che la vera nemica di sempre fosse Cersei. Non era vero. Cersei muore male, in modo anonimo, al culmine di un episodio che però rende quel modo perfettamente coerente. Il messaggio che la serie sta costruendo sotto i nostri occhi, o meglio, che sta esplicitando pur avendolo sempre avuto dentro di sé, è che la divisione fra buoni e cattivi che poteva funzionare con i morti, con gli umani non funziona. La fine di Cersei e Jaime, a cui viene concesso un ultimo momento di amaro romanticismo, viene liquidata come un inganno, l’ultimo velo a nascondere la verità: la vera sfida finale sarà quella tutta intestina alle famiglie Stark e Targaryen, e porterà a compimento una riflessione durata otto stagioni: il male non è assoluto, come non lo è il bene. Bianco e nero non esistono, e gli umani nascono, crescono e muoiono in mondo grigio, dove le prospettive cambiano, e dove gioia e tragedia possono scambiarsi di posto con inquietante facilità. Che vi piaccia o meno, questa è la vera Game of Thrones, e le ultime parole di Jaime sono quelle di uno che ha capito tutto, che ha smesso di ragionare per grandi ideali e paradigmi totalizzanti: “Nulla conta, solo noi”. Alla fine, forse, non era il più stupido dei Lannister.

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L’ultimissima immagine, in realtà, è per Arya: miracolosamente sopravvissuta, anche se parecchio acciaccata, riesce a trovare un ultimo cavallo solitario, anche lui scampato alla morte. La sua galoppata fra le fiamme, diretta presumibilmente verso casa, è la promessa per l’ultimo episodio: qualcuno dovrà pagare per tutto sto macello, e sappiamo anche chi sarà.

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VARIE ED EVENTUALI

-La grande assente dell’episodio, per ovvi motivi geografici e politici, è Sansa. Nel previously ce la mostrano mentre dice a Jaime che non potrà vedere Cersei morire come avrebbe voluto. Non escludo che però possa veder morire la prossima regina del Trono di Spade…

-Mi pare scontato che ora lo scacchiere preveda un Sansa+Arya+Tyrion contro Daenerys+Verme Grigio, con Jon che cercherà di capirci qualcosa di Daenerys nel tentativo di riportarla sulla retta via, per poi dover prendere atto che non può. Questo non ci dà certezze su chi ucciderà chi, né su chi siederà sul trono di spade, ma sappiamo per certo che scorrerà nuovo sangue, e sarà sangue fratricida.

-Considerando l’insegnamento della serie negli ultimi episodi, trovo sempre meno plausibile un finale “felice per qualcuno”. Cioè, il Trono si porta dietro una specie di maledizione, e non mi sembra verosimile che a un certo punto qualcuno ci si sieda sopra con il sorrisone sulle labbra, non fosse altro perché si siederà su un poltrona costruita su generazioni di morti. Mi aspetto quindi una specie di finale da “Il Laureato”, con qualcuno che effettivamente comincia a regnare, ma senza alcuna gioia.

-Chissà se qualcuno ha detto a Tormund che Daenerys ha sbroccato. Mi piacerebbe vedere la sua reazione.

-Ci sono state critiche al modo in cui Brienne, nello scorso episodio, molla la sua indole dura e rocciosa per implorare Jaime di non partire. Come se non fosse abbastanza “cazzuto” per un personaggio come lei. Mi chiedo come si possa ancora sostenere questa affermazione dopo questo episodio. Brienne non ha mai conosciuto l’amore, e quando finalmente l’ha trovato ha dovuto dire addio all’uomo che ama sapendo che sarebbe morto per amore di un’altra. Lo ritengo sufficiente per sciogliere anche la più dura delle guerriere.

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