Turn Up Charlie ha senso solo perché c’è Idris Elba di Marco Villa
Può un solo attore reggere un’intera serie? Idris Elba e Turn Up Charlie sono lì a dimostrare che sì, è possibile
Idris Elba. Parliamone. Il talento, il fascino, il carisma. Se siete fan di Luther non serve andare oltre. Se l’avete amato anche in The Wire, avrei potuto smettere di scrivere dopo le prime due parole. È un attore iconico, quello che il Mereghetti nel suo dizionario definirebbe con autorevolezza “un figo”. Al punto da diventare un simbolo della serialità di questi anni e di avere schiere di fan pronte a spingerlo verso il ruolo di 007 dopo l’abbandono di Daniel Craig. Uno in grado di reggere situazioni non da poco, compresa una serie che ha creato, scritto e interpretato e che, diciamolo subito, senza di lui non avrebbe proprio motivo d’essere.
Turn Up Charlie è disponibile su Netflix dal 15 marzo e racconta la storia di Charlie Ayo, dj molto zarro che ha raggiunto il successo negli anni ‘90 e che vent’anni dopo si ritrova a vivere con la zia e un amico scroccone, dopo aver dilapidato tutto ciò che aveva guadagnato. Nel disperato tentativo di portare a casa i soldi per le bollette, finisce per fare da tata alla figlia di una ricca coppia di amici: lui è un attore di Hollywood, lei una producer di successo. L’obiettivo di Charlie è di tenere a bada la figlia per farsi amica la mamma (Piper Perabo), nella speranza di rilanciare la propria carriera, ma la pargola è talmente impegnativa da lasciargli poco tempo libero e ancora meno energie.
Tutta Turn Up Charlie si gioca sul confronto tra Charlie e Gabrielle, la ragazzina undicenne viziatissima interpretata da Frankie Harvey. Lei è sveglissima e perfettamente inserita nel proprio tempo, lui non è mai riuscito a uscire dalla buca degli anni ‘90, sia come abbigliamento, sia come attitudine. Il risultato è un confronto tra una millennial generazione Z (grazie commentatori) fatta e finita e un tizio convinto di avere ancora vent’anni, ma con vent’anni di ritardo. Non è proprio la storia più originale di questo mondo, ma il tono leggero con cui viene raccontata le permette di tenersi in piedi. Elba e la giovanissima Harvey sono al centro di tutto, ma quello che esula da loro fatica un po’ a imporsi: i due genitori sono poco più che figure di contorno, mentre la zia di Charlie e l’amico-accollo sono oltre il livello di guardia dello stereotipo già alla prima inquadratura.
Però poi c’è Idris Elba, che si porta dietro la curiosità di vederlo in un ruolo diverso dai drammoni che ha attraversato negli anni. Non è la prima volta che il suo nome e la sua fisicità sono chiamati a reggere serie imperfette (chi ha detto Luther?), ma è la prima volta che avviene in un genere comedy. Lo spiazzamento è netto, ma la sorpresa è positiva. Elba regge anche in questo tipo di prodotti, per quanto non si tratti palesemente della sua tazza di tè e per lui sarebbe forse più indicato un ruolo da spalla, da miglior attore non protagonista. Resta il fatto che senza di lui Turn Up Charlie avrebbe davvero poco da dire, con lui invece ha almeno qualche elemento di interesse.
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