The Enemy Within – A metà tra Homeland e The Blacklist di Marco Villa
Il ritorno di Jennifer Carpenter dopo Dexter, nel ruolo di un’agente CIA che ha tradito il suo paese: The Enemy Within
Abituati come si è a streaming, on demand e binge watching vari, da spettatori ci siano quasi dimenticati di una dicotomia che è stata fondamentale per decenni e che – a livello produttivo e autorale – è ancora vivissima. Sto parlando della differenza tra prodotti pensati e trasmessi da network generalisti e via cavo, dove i primi sono storicamente più accessibili e classici e i secondi più arditi e innovatori. Questa dicotomia, dicevo, è ormai poco presente nelle teste degli spettatori, ma è di un’evidenza assoluta quando si guardano serie come The Enemy Within.
The Enemy Within va in onda su NBC dal 25 febbraio ed è stata creata da Ken Woodruff (The Mentalist, Gotham). Il mondo è quello spy, in un intreccio tra CIA e FBI, ovvero tra Homeland e The Blacklist. La prima scena mostra l’arresto della vicedirettrice della CIA Erica Shepherd (Jennifer Carpenter, ovvero la sorella di Dexter), scoperta a tramare con Mikhail Tal, spietato terrorista russo. L’arresto e successiva condanna di Erica creano molto scalpore nel paese, ma non fermano Tal, che continua a colpire e riesce anche a sequestrare una agente della CIA. In che modo il baldo agente FBI Will Keaton (Morris Chestnut, protagonista di Rosewood) potrà fermare Tal? Ovvio, tirando fuori di prigione Erica e convincendola a svelare tutto quello che sa sul modus operandi dell’uomo che l’ha fatta tradire. Da qui inizia un gioco di mi fido-non mi fido più che sarà costante di tutta la serie, insieme a colpi di scena con nuovi traditori e infiltrati perché, badabum, Erica rivela che negli Stati Uniti sono presenti almeno 3000 agenti stranieri sotto copertura, che vanno stanati uno a uno.
Questo il plot thriller, non manca quello drammatico legato ai protagonisti. Vi risparmio lo spoiler su Erica, vi dico invece il fantasma che tormenta l’agente Will: è l’assassinio della fidanzata, pure lei nei servizi, avvenuto proprio in seguito a soffiate di Erica.
Ci ho tenuto a sottolineare questo aspetto perché è uno degli elementi che riesuma in modo più forte quel mondo generalista che ormai, da bravi fighetti, frequentiamo sempre meno. In una serie cable, questo elemento sentimentale forse non ci sarebbe stato, oppure sarebbe emerso più avanti, magari dopo diverse puntate. Qui invece viene spiattellato in maniera drittissima in un dialogo spiegone che permette allo spettatore di avere subito chiare le coordinate dei personaggi, ma che fa cadere le braccia in quanto a modalità di esposizione.
Si diceva in apertura di come si tratti di un misto tra Homeland e The Blacklist, ma se il primo riferimento serve solo come scenario, la sensazione è che la seconda serie sia invece il vero e proprio modello, con una lista di infiltrati da beccare uno a uno e un rapporto di collaborazione tra i due protagonisti che sarà allo stesso tempo di necessità e diffidenza. In questo, Morris Chestnut ha il ruolo necessariamente più granitico, che però lo porta a una rigidità e una mancanza di spessore che in prospettiva inquieta un poco. Molto meglio, invece, Jennifer Carpenter, che riesce a rendere in modo eccellente la fragilità di un personaggio che a sua volta rischiava di essere stereotipato.
Per la conclusione, torno di nuovo alla dicotomia di apertura, che ci sembra così antiquata. Ecco, se fossimo nel 2011 (per dire), The Enemy Within sarebbe una serie fresca e interessante, ma solo perché a quei tempi il panorama era molto inferiore, da un punto di vista qualitativo e quantitativo. Siamo nel 2019 e The Enemy Within difficilmente entrerà nella vostra lista di episodi settimanali. Anche perché dai, quell’inseguimento nel porto che arriva a fine episodio? Vogliamo parlarne? Insensato sotto ogni punto di vista.
Perché guardare The Enemy Within: perché ha una struttura talmente lineare da essere un ottimo svuotacervello
Perché mollare The Enemy Within: perché nel panorama del 2019 si perde in un secondo