Sex Education – Evviva i giovani complessati di Netflix di Roberta Jerace
Dopo i bivi di Bandersnatch, arrivano quelli dell’adolescenza!
Se qualche spettatore distratto pensava che, con il clamore creato intorno a Bandersnatch, Netflix avesse canalizzato tutta la qualità e la sperimentazione in un’unica direzione, non deve fare altro che sedersi e guardare Sex Education.
Lo show britannico è creato da Laurie Nunn e Kate Herron, scrittrici di short comedies ancora poco conosciute dal pubblico seriale italiano e da Ben Taylor (Divorce, Catastophe).
La serie ci racconta la storia di un liceale vergine, figlio di una terapista sessuale, che con l’aiuto di una “cattiva ragazza” dà vita a una clinica clandestina per aiutare gli studenti proprio con problemi legati alla sessualità. Se anche aggiungessi altri particolari alla sinossi ricordando: che la mamma è un tantino castrante, la ragazza cattiva è abbandonata a sé stessa, il protagonista non riesce neppure a masturbarsi e ha un amico gay (Ncuti Gatwa) tiranneggiato dal bullo della scuola (figlio del preside), non avrei comunque fatto altro che imbrigliare in ordinati cliché personaggi che rifiutano di rispondere a ogni definizione.
Ma andiamo con ordine. Sex Education è una commedia non convenzionale che parla di sesso come si dovrebbe parlare di sesso: in modo diretto, esplicito e leggero, con la stessa ingenuità e spavalderia con la quale lo vivono i giovani personaggi. Tuttavia, racconta di ragazzi che diventano adulti non perché parlano di sesso o fanno sesso; ma perché si mettono alla prova, falliscono, entrano in contraddizione, si mettono in imbarazzo e affrontano problemi di cui le difficoltà a letto sono solo un campanello d’allarme (spoiler: per intenderci il figlio belloccio e superdotato del preside è incasinato di brutto!).
Sex Education è una serie che riesce a stabilire con grazia il proprio ritmo, un ritmo lento senza mai essere noioso e nel quale si alternano momenti di riflessione (che possono anche colpire forte come un pugno nello stomaco) a scene davvero esilaranti.
Non c’è nulla di superfluo nella scrittura, nessuna scena di troppo, nessun dialogo poco realistico (meglio, “troppo” poco realistico) o eccessivamente chiarificatore, e anche i temi più sensibili vengono affrontati con delicatezza ma senza filtri, imprimendo così un sorriso costante sul volto dello spettatore.
I personaggi vengono delineati sapientemente con poche e puntuali pennellate, ed empatizzare con loro è spontaneo e immediato, grazie anche alla straordinaria naturalezza degli attori. L’eclettica mamma è interpretata dalla sempre bravissima Gillian Anderson (X-Files; The Fall), abilissima nel proporci una madre solo in apparenza fuori dalle righe. Mentre il ruolo principale è affidato ad Asa Butterfield (Merlin; Ender’s game; Miss Peregrine) che con una fisicità scattosa e stropicciata interpreta un sedicenne credibile e autentico, che tenta di superare i propri complessi risolvendo quelli degli altri. Otis si getta a capofitto in un’avventura che lo porterà lontano dal suo angolo sicuro e non poteva che farlo per una ragazza: Maeve, l’eccellente Emma Mackey (che ricorda vividamente la Margot Robbie di Suicide Squad, dai lineamenti, ai capelli rosa, al look da cattivona senza che questa sovrapposizione diventi in alcun modo costrittiva). La compagna di scuola ha una forza di attrazione irrinunciabile che diventa cardine dal quale parte lo slancio vitale del ragazzo ed è allo stesso tempo il primo tassello della sua maturità.
INIZIO SPOILER. Faccio degli esempi. Il terzo splendido episodio affronta il tema dell’aborto, ma ci spiega anche come ciascuno si avvicini in momenti diversi alla maturità. Mentre Otis si trastulla con il romantico pensiero di un appuntamento, Maeve fa i conti con una scelta dolorosa ma inevitabile. Quando la ragazza chiede aiuto, Otis si sveglia dal suo sogno romantico e risponde alla realtà con prontezza di spirito e tenerezza, facendo vedere come si diventa grandi e allo stesso tempo come si diventa amici. E non è l’unico episodio in cui il tema “verticale” venga trattato con sorprendente finezza, ma anche con un certo ardore hollywoodiano, in cui buoni sentimenti non significa stucchevolezza, ma crescita: basti pensare al riscatto sociale e personale di Eric (e alla figura per nulla banale del padre, affezionato al figlio ma in difficoltà nel gestire la sua omosessualità); o alla riscoperta dell’amore da parte della madre di Otis; o ancora alla tenerezza nel cambiamento di Adam, un po’ telefonato probabilmente, ma comunque d’impatto. FINE SPOILER
La forza della serie è proprio questa: la leggerezza con la quale vengono affrontati tanti temi diversi non toglie nulla alla stratificazione dei significati che possiamo cogliere.
Ok, ora provando a essere un po’ critici, potreste trovarvi disorientati dall’ambientazione, molto poco british e parecchio americanizzata (ci si ricorda che siamo in Inghilterra più che altro per il volante a destra), ma soprattutto affollata da uno spudorato e ridondante revival degli anni ’80. La cosa dev’essere un filino sfuggita di mano alla produzione perché tutti indossano abiti, si pettinano, arredano casa e ascoltano musica come se fossimo in quel decennio! Se non fosse per smartphone, tv a schermo piatto e qualche rara citazione pop contemporanea avremmo del tutto perso il riferimento temporale.
Ma forse questo disorientamento è voluto e ha un motivo che va oltre la moda vintage di questi anni: perché la serie parla di sesso e piacere, amicizia e amore, razzismo e difficoltà di comunicazione, argomenti che non sono troppo diversi oggi da com’erano ieri.
E se proprio volete considerarli come difetti vi sfido a non perdonare qualche ingenuità a una serie che è senza dubbio una perla preziosa nel panorama televisivo degli ultimi anni.
Perché seguire Sex Education: perché non si può rinunciare a una serie che riesce a farti ridere e commuovere nello stesso istante.
Perché non seguire Sex Education: perché proprio non potete soffrire gli anni ’80 né le serie di genere teen.