ABC cancella Roseanne: la decisione dopo un tweet razzista di Roseanne Barr di Diego Castelli
Un’escalation durata un giorno, dalle conseguenze impreviste
Una brutta storia iniziata male e finita peggio.
Roseanne, il revival della vecchia sitcom ideata e interpretata da Roseanne Barr, aveva scaldato i cuori di vecchi e nuovi fan fin dal suo debutto qualche mese fa, tanto che ABC aveva entusiasticamente ordinato una nuova, undicesima stagione.
Questo fino a oggi, quando le conseguenze di un tweet razzista della stessa Barr hanno portato il network americano alla decisione di cancellare la serie.
Il fatto: martedì mattina la Barr pubblica sul suo profilo twitter un cinquettio quanto meno discutibile, ai danni dell’ex consigliera del presidente Obama, Valerie Jarrett. Nel tweet, inserito in un thread anti-Obama e successivamente rimosso, la Barr (trumpiana di ferro) descriveva la Jarrett, afroamericana nata in Iran, come “il figlio della Fratellanza Islamica e Il Pianeta delle Scimmie”.
Successivamente, a seguito della prevedibile reazione indignata di molti commentatori, la Barr si è scusata per la battuta “di cattivo gusto”, annunciando il suo addio a Twitter.
La questione però non si è chiusa qui. La mattina successiva, il presidente di ABC Channing Dungey annunciava la chiusura dello show, definendo la sparata twitteriana della Barr come “ripugnante, disgustosa, e incompatibile con i nostri valori”.
Nel frattempo anche Sarah Gilbert, figlia televisiva della Barr, rilasciava una sua dichiarazione, dissociandosi in maniera totale dalle parole della “madre” e rammaricandosi proprio per il fatto che una simile sparata sarebbe andata a rovinare una serie di cui tutti erano orgogliosi, e che non meritava di finire sotto una cattiva luce per le opinioni di un solo membro del cast.
Insomma, una brutta faccenda, che ci priva di una serie intelligente e arguta.
Dare un giudizio sulla decisione è abbastanza difficile: il tweet della Barr è brutto forte, un tonfo rumoroso per il quale una qualche forma di punizione era inevitabile e comprensibile. Non stento a credere che il presidente di ABC si sia trovato con le mani legate. Allo stesso tempo, cancellare una serie a cui lavorano decine di persone, e che ha dimostrato nel corso degli anni acume e delicatezza non comuni (anche quando schierate, perché no), per colpa di un singolo tweet di un singolo membro del cast (per quanto naturalmente importantissimo), può pure sembrare eccessivo. Potevano anche decidere di far fuori il personaggio, per dire, e invece niente, via tutto.
Diciamo che si sente anche puzza dell’ipocrisia tipica hollywoodiana, quella che, per esempio, permette a un ubriacone che con ogni probabilità picchiava la moglie di continuare a essere un simpatico pirata idolo dei bambini, e caccia via forse per sempre un’autrice di lungo corso e comprovata abilità per un errore sui social, per quanto oggettivamente grosso.
O magari a parlare è la delusione per il fatto che non vedremo più Roseanne per motivi che con Roseanne c’entrano poco e niente.
Traiamone la lezione – che per l’Italia vale tantissimo – che i social non sono (o non dovrebbero essere) una terra di nessuno in cui vomitare qualunque cosa ci passi per la mente. Anche lì, o forse soprattutto lì, sarebbe necessario accendere il cervello prima di premere invio.
EDIT: mi fanno giustamente notare (e ringrazio) che la Barr è parecchio tempo che usa i social per sputare stronzate razziste e deliranti. Quindi il tweet incriminato, più che un errore isolato, potrebbe essere considerato una “goccia che fa traboccare il vaso”.
Ciò non toglie che le interpretazioni possibili sono due: o ABC ha preso una decisione motivata da correttezza e integrità, dimostrando sensibilità e coraggio (non dimentichiamo che Roseanne stava andando fortissimo con gli ascolti); oppure ha arginato il problema-Barr non quando ne è venuta a conoscenza, ma solo quando rischiava veramente di ritorcerglisi contro.
Due scenari che possono avere poca influenza sul giudizio di ognuno di noi circa l’opportunità di chiudere la serie, in una nuova epoca in cui gesti e parole cominciano ad assumere l’importanza che avrebbero sempre meritato, ma che gettano un’ombra un po’ viscida su un politically correct che non sempre appare pienamente genuino.