20 Aprile 2018 30 commenti

The Walking Dead 8 season finale: forse riusciamo a fare un passo avanti di Diego Castelli

L’ultimo episodio stagione di The Walking Dead sembra promettere un cambio di rotta sottile ma quanto mai necessario

Copertina, On Air

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ATTENZIONE: SPOILER SULLA 8X16 DI THE WALKING DEAD E QUALCOSINA SULLA 4X01 DI FEAR THE WALKING DEAD

C’è una singola scena, nel finale di stagione di The Walking Dead, che consente di sperare bene per il futuro, al termine di una stagione che ha continuato a patire i problemi di quella scorsa, cioè un attaccamento morboso e inevitabilmente sbrodolato alla figura di Negan: a un certo punto, quando il cattivone è stato sconfitto e imprigionato per volere di Rick, assistiamo a un breve dialogo fra Maggie, Jesus e Daryl, in cui la cazzutissima vedova esprime il suo disappunto (eufemismo) per la decisione di Rick di lasciare in vita il bastardone, e complotta con gli altri nell’ottica di una futura rivolta più o meno segreta che possa portare alla morte di Negan.

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In quella singola scena, di per sé non monumentale, c’è però l’indizio che The Walking Dead possa recuperare almeno in parte una delle due strade che negli anni ha colpevolmente smarrito.
La prima strada, quella più vistosa, riguarda gli zombie. È da un po’ di tempo, ormai, che la prima critica mossa a The Walking Dead è quella di non essere più una serie sugli zombie. E questo è sicuramente vero non solo per il fatto che di zombie se ne vedono fisicamente pochi, ma soprattutto per il nuovo ruolo che hanno assunto quelli rimasti: prima erano il simbolo di una morte costantemente imminente, di una decadenza ormai irrimediabile del mondo, dalla quale si poteva al massimo sopravvivere, e con non pochi sforzi. Ultimamente, invece, gli zombie di The Walking Dead sono diventati quasi solo un’arma da usare contro nemici decisamente umani.
Il passaggio è sottile, ma non per questo meno evidente: non si contesta il fatto che Rick e soci a un certo punto possano riuscire a costruire le fondamenta di una nuova civiltà, né che la serie sia sempre stata un racconto di uomini più che di mostri, né tantomeno che il rapporto coi non morti possa a un certo punto arrivare a una qualche forma di “quotidianità” (alla centosettesima volta che mi imbatto in uno zombie, ci sta che io sia più preparato e meno spaventato rispetto alla prima). Ma nel momento in cui l’elemento zombiesco perde il carattere simbolico di cui ci siamo detti, ecco che The Walking Dead rischia di diventare un’altra cosa, tipo Revolution o qualunque altro post-apocalittico.

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La seconda strada che in questi anni si è un po’ persa riguarda i conflitti interni ai singoli gruppi. Negan è stato chiaramente il cattivo più carismatico dell’intera serie, una medaglia guadagnata grazie al lavoro degli sceneggiatori, dei costumisti, e soprattutto di Jeffrey Dean Morgan, che è riuscito a mescolare nel suo personaggio la cattiveria e il fascino maligno, il caos del dittatore e una malata razionalità, alla fine perfino un’umanità che al tempo della morte di Glenn non avremmo creduto possibile.
Il problema, però, è che il peso di Negan ha finito con lo schiacciare tutto il resto, costringendo gli autori a prolungare all’infinito una faida che, dopo un po’, aveva cominciato ad arrotolarsi su se stessa, riproponendo sempre gli stessi schemi. C’è stato, e forse ancora ci sarà, il tentativo di umanizzarlo almeno in parte, cercando strade impervie per un’improbabile alleanza, se non addirittura amicizia, ma a conti fatti Negan è sempre rimasto un cattivo da sconfiggere, uno con cui, tentativi di Carl a parte, non era possibile trattare, perché portatore di una visione della vita e della realtà completamente antitetica rispetto a quella di Rick (che nel frattempo, per parte sua, è stato costretto dagli eventi a indurirsi fino a macchiarsi di comportamenti da simil-malvagio).

Ma The Walking Dead, nella prima e seconda stagione, ci aveva insegnato l’importanza dello scontro fratricida: non abbiamo più visto nulla di così potente come la lotta fra Rick e Shane, la cui amicizia era stata distrutta insieme al resto del pianeta.

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Ecco, se questo finale di The Walking Dead ci fa una promessa, è quella di cambiare la figura di Negan: non più nemico da abbattere, ma simbolo di una nuova lotta intestina. Perché diciamoci la verità: in quel breve dialogo fra Maggie e i suoi abbiamo visto un futuro scontro fra Rick e Daryl, e questa immagine è di per sé più forte di qualunque battaglia fra Rick e Negan, da sempre concepiti come nemici.
E ci piace che la parabola di Negan sia arrivata fino a qui, a cambiare le carte in tavola ben oltre la semplice uccisione di questo o quel protagonista. Il problema è stato arrivarci in troppo troppo (troppo) tempo, con settimane e settimane passate a girare intorno ad assalti e appostamenti, ottomila gruppi e sottogruppi ormai quasi indistinguibili, e doppi giochi sempre più prevedibili (pure quello di Eugene in fondo lo era, anche se un po’ di entusiasmo l’abbiamo provato comunque).

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Se si riuscisse a recuperare la seconda strada, rimarrebbe da lavorare sulla prima, anche se non so più quanto margine ci sia per farlo. Da questo punto di vista è stato interessante vedere la prima puntata della quarta stagione di Fear The Walking Dead. Unendo temporalmente le due serie, questa premiere dell’ex-prequel ha sancito l’addio di Morgan a Rick e compagni e il suo arrivo fra i protagonisti di Fear. Ed è stato un episodio vecchio stile, con poche persone costrette a trascinarsi per lande desolate, cercando di non soccombere alla natura selvaggia (di cui anche gli zombie fanno parte, in qualche modo) e ai pochi relitti umani ancora abbastanza in forze da rubare al prossimo ciò che gli serve per vivere.
In questo episodio abbiamo rivisto la desolazione della vecchia Walking Dead, e abbiamo provato un inevitabile moto di nostalgia, come se il mondo della serie avesse voluto ricordare di essere molto più vasto e misterioso dei soli sobborghi di Atlanta. Difficile che la serie madre, ormai troppo avviluppata nelle dinamiche dei suoi insediamenti e avamposti, possa tornare da quelle parti. Servirebbe un qualche evento catastrofico che lasci vivi pochissimi protagonisti e li costringa a “ricominciare da capo”. Molto più probabile che TWD si giochi una rinnovata carta di lotta interna al gruppo storico, verso una risoluzione finale che dia un po’ di pace almeno a uno o due di questi poveri derelitti. E intendiamoci, potrebbe non essere affatto male, specie dopo aver apparentemente superato lo scoglio Negan.
Ma certo fa anche piacere vedere che non tutti gli sceneggiatori della Terra si sono dimenticati la prima anima di TWD, quella esplorativa, inquietante e avventurosa, in cui il primo pensiero di fronte a un volto umano non è “sarai sicuramente un nemico con cui combattere per tre stagioni”, quanto piuttosto “evviva un’altra persona con cui parlare in questo deserto di morte”. Se si riuscisse a riequilibrare un po’ le cose, The Walking Dead potrebbe risollevarsi dal complicato pantano in cui è affondata ormai da qualche tempo.



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