Deep State – Un’altra serie di spie e doppi giochi di Marco Villa
Deep State è una storia di depistaggi, doppi e tripli giochi che accumula tanto materiale e colpi di scena, ma che finisce per non essere del tutto a fuoco
Che si sia in un periodo di tensioni e di mancanza di fiducia lo si capisce senza nemmeno dover leggere un giornale. Basta sentire qualcuno che parla nel sedile accanto del treno, oppure basta guardare una serie tv. Sì, perché negli ultimi anni si sono moltiplicate non solo le serie di fantascienza con futuri sempre più cupi, ma anche quelle che mettono in scena situazioni da dietro le quinte di ogni tipo di scenario geopolitco. Una volta c’era Homeland e poco altro, adesso i titoli sono tantissimi e a questo elenco si aggiunge anche Deep State.
Deep State è la prima serie tv europea di FOX, in onda dal 9 aprile in contemporanea mondiale, Italia compresa. Si tratta di una serie di spionaggio creata da Matthew Parkhill (Rogue), che mette in campo tutti i grandi classici del genere (sospetti, tradimenti, doppi e tripli giochi), ma che si concentra non tanto sugli agenti segreti, quanto sui loro colleghi ancora più operativi, ovvero gli agenti che portano a termine missioni omicide in giro per il mondo. A questo gruppo appartiene anche Max Easton (Mark Strong), ex agente dei servizi britannici che da tempo ha lasciato il lavoro e vive sereno con la nuova famiglia nella campagna francese. Di punto in bianco, viene richiamato in modo piuttosto minaccioso alla sede centrale dal suo vecchio capo: deve mollare tutto e andare a occuparsi di tre agenti che hanno tradito. Il motivo per cui debba occuparsene lui è piuttosto semplice: i tre sarebbero anche responsabili della morte di suo figlio (Joe Dempsie, Gendry di Game of Thrones), avuto da un primo matrimonio e talmente bisognoso di essere accettato dal padre da aver tentato la sua stessa carriera.
Inutile dire che in Deep State – titolo molto bello, va detto – niente è come sembra: chi è presentato come amico rischia di diventare il peggior rivale nell’arco di un paio di scene, mentre il presunto nemico può rivelarsi l’alleato cruciale. Se tutto ciò fa parte dei giochi quando si tratta di serie di questo tipo, altrettanto scontato è aspettarsi che i colpi di scena non siano talmente telefonati da essere anticipati non appena si inizia ad apparecchiarli. Il primo episodio di Deep State sa mettere in fila una serie di scena in cui la tensione gira a dovere, ma troppe volte si finisce esattamente nel punto e nel modo più scontati. Si tratta di un pilot ricco, in cui vengono mostrate storyline e ribaltamenti che avrebbero potuto popolare un’intera stagione di una serie meno densa, ma il risultato finale non è del tutto a fuoco.
L’azzardo principale, però, riguarda il protagonista: Mark Strong è bravissimo nel suo ruolo, ma si tratta di un personaggio che attraversa tutto ciò che affronta nel pilot con imperturbabilità totale. Max Easton è infatti uno di quei personaggi che non lascia trasparire nulla e si tiene tutto dentro, un personaggio affascinante, ma che difficilmente riesce a fare presa sul pubblico. Sarebbe un perfetto antagonista, un eccezionale comprimario, ma renderlo protagonista assoluto è davvero rischioso. Il risultato è una serie che si accende e si spegne a seconda del livello di tensione delle scene, senza che il protagonista riesca a mantenere un livello costante di interesse.
Deep State è una serie che ha ritmo e caratteristiche personali, che sa essere trattenuta, ma anche spinta al massimo. Questo suo essere bipolare non porta però a unicità o eccellenza creativa, ma a una serie che dal primo episodio appare tutt’altro che perfetta.
Perché seguire Deep State: perché ha la forza di cercarsi una propria strada nel genere spy
Perché mollare Deep State: perché quella strada non viene trovata al millimetro