Super Bowl Glee: qualcosa non torna di Diego Castelli
L’annunciato mega-puntatone non lascia il segno come avrebbe dovuto. Ci dobbiamo preoccupare?
Avevo pronto tutt’altro post per stamattina, ma mi sono ricordato che c’era da parlare dell’episodio di Glee posizionato dopo il famosissimo Super Bowl, quella specie di collante sportivo trans-generazionale che negli States è seguito con passione anche da chi, per tutto il resto dell’anno, ricama all’uncinetto o colleziona gusci di tartaruga.
Suddetto episodio era già stato indicato come il più costoso nella storia della serie, e anzi come il più costoso tra tutte le puntate di telefilm mai andate in onda dopo la partitissima.
Ebbene, a riprova del fatto che anche le più grandi storie d’amore attraversano momenti difficili – e che già da un po’ di tempo qualcosa all’interno di Glee comincia a puzzare di rancido – mi tocca sottolineare che il mio rapporto con Rachel & soci sta diventando un po’ litigarello, e ‘sto attesissimo capitolo mi ha lasciato parecchio amaro in bocca.
Da qui in poi spoilero, quindi regolatevi di conseguenza… (avete notato come sono serio oggi? Non sentite la sottile ma spaventosa atmosfera della mia stroncatura?)
The Sue Sylvester Bowl Shuffle è tutto incentrato sul football. Scelta abbastanza prevedibile e tutto sommato giustificata, tanto più che il posizionamento post-super bowl puntava anche a raccogliere un po’ di pubblico “nuovo”.
I problemi sono altri. Si è deciso di dar vita a un racconto abbastanza autoconclusivo, proprio per venire incontro alle esigenze di quegli spettatori che, trainati dall’evento sportivo, vedevano la serie per la prima volta. Ma in realtà l’obiettivo non è stato raggiunto, visto che compaiono diverse linee orizzontali (dai problemi del bullo-ma-in-realtà-omosessuale Karovsky al trasloco di Kurt, fino alle varie sottotrame romantiche). Allo stesso tempo, come purtroppo è accaduto spesso, quelle stesse linee orizzontali sono troppo sfilacciate, buttate lì a caso a creare stravolgimenti che appaiono davvero troppo rapidi per essere credibili. Penso al ritorno di fiamma tra Finn e Quinn, tanto improvviso quanto posticcio, ma soprattutto al vero fulcro dell’episodio, cioè il rapporto tra i giocatori di football e i membri del Glee Club. E’ dall’inizio della serie che ci mostrano questo scontro continuo, con tutto il suo corollario di granite rosse sparate in faccia agli sfigati. L’acredine tra le due fazioni si era smorzata giusto per un episodio, quando la squadra aveva trovato aiuto insperato nel ballo (con l’indimenticabile scena sulle note di Single Ladies), per poi tornare (anche in questo caso con troppa fretta) nei classici lidi del disprezzo reciproco.
Eppure, in questo episodio, bastano 24 minuti e due ordini sparati a gran voce dal coach perché i giocatori si trovino a ballare truccati da zombie, come se non avessero fatto altro per tutta la loro vita. Certo, come no…
Con l’andare della puntata le ruggini vengono di nuovo fuori, e il passaggio da atleti a ballerini canterini non è così immediato. Ma è comunque troppo, troppo rapido per poter essere credibile. Tanto più che Karovsky, dopo essersi fatto trascinare dall’entusiasmo come nel più classico dei film strappalacrime da pomeriggio di Canale 5, rinnega il divertimento danzante per tornare a essere la solita testa di pera. Una scelta comoda per gli sceneggiatori, che la settimana prossima avranno ancora il loro bulletto bastardo su cui contare, ma del tutto priva di significato nel momento in cui va a rivoltare completamente un personaggio per tre-quattro volte in neanche cinquanta minuti.
Ne dirò anche un’altra: tutti sti soldi che sarebbero stati spesi, io non li ho visti. Ok, il numero iniziale sulle note di California Girls era bello elaborato, c’è tanto make-up, ci sono tante comparse, molti fumogeni, tutto quello che volete. Ma sapere che stavo per vedere “l’episodio più costoso di Glee” mi aveva portato a pensare a chissà quali immagini dirompenti, e invece nisba. Molto deluso, tra l’altro, dal numero di Thriller, un balletto zombiesco girato assai male e montato in stacchi troppo rapidi per apprezzare una coreografia che, più che vedere, si riesce solo ad intuire.
Ma il vero problema è la mancanza della consueta (auto)ironia. Al di là delle battute di Brittany, la puntata mostra l’evidente quanto incongruente volontà di colpire l’ala più sentimentale del pubblico. Intendiamoci, nel suo passato Glee ha offerto diversi episodi capaci di “emozionare”. Ma la sua grande forza è sempre stata quella di non prendersi troppo sul serio, smontando con la comicità il classico zucchero hollywoodiano. Stavolta, invece, ci sono poche sfumature, poche possibilità per lo spettatore accorto di dire “ok, sto guardando un musical con dei teenager, ma guarda com’è intelligente”.
Per finire cito un dettaglio, a inizio episodio, che reputo insieme gustoso e un po’ inquietante: Sue Sylvester ci viene mostrata in preda alla noia, incapace di divertirsi come un tempo, spasmodicamente tesa verso il raggiungimento di traguardi sempre più spettacolari e luccicanti, a prescindere dalle necessità delle sue cheerleader. Sembra quasi un grido d’aiuto della serie stessa, obbligata a brillare sempre di più, quando l’unica cosa di cui avrebbe bisogno sarebbe un semplice ritorno alla buona scrittura.
Caro Ryan Murphy, io mi fido di te, ma qui urge una robusta correzione di rotta. Perché così mi si sbriciolano i maroni.
UPDATE
Cioè, tanto per dire: la puntata successiva, andata in onda il giorno dopo, è stata molto superiore. Così, senza bisogno di sboronare sul budget…