La seconda stagione di The Good Place: bentornati in un mondo grottesco di Sara Mazzoni
The Good Place con la sua seconda stagione raggiunge un nuovo livello di comicità dell’assurdo
Ogni tanto arriva una serie basata su un’idea che suona così semplice da risultare ovvia, eppure quando viene realizzata funziona alla grandissima. Nella storia della televisione, quante volte un produttore avrà ascoltato il pitch di una sit-com ambientata nell’aldilà? In Italia ci siamo accontentati delle pubblicità del caffè con il personaggio televisivo del momento appoggiato a una nuvoletta. Negli USA, Michael Schur (Parks and Recreation, Brooklyn Nine-Nine) ha creato per NBC una commedia surreale e divertentissima: The Good Place.
Se non avete già visto la prima stagione, dovreste fermarvi qui ed evitare gli spoiler. Perché una delle caratteristiche più interessanti di The Good Place è la costruzione di una trama mistery giocata su continui cliffhanger, ispirata a uno show apparentemente incompatibile con la commedia come Lost. Durante la stagione 1, Schur ha sfruttato al massimo il potenziale del suo what if: cosa succederebbe se in paradiso arrivasse una donna destinata all’inferno? Ma poi svelamenti e colpi di scena sono arrivati a rovesciare la premessa iniziale: la protagonista Eleanor (Kristen Bell) non è nel Luogo dei Buoni, il “Good Place” del titolo, ma si trova davvero all’inferno, torturata assieme ai suoi compagni di sventura da un demone con le fattezze di Ted Danson.
Schur si dimostra consapevole di non poter pretendere l’impossibile dalla sua idea: le gag legate all’essere fuori posto di Eleanor ormai hanno fatto il loro tempo. L’autore non si risparmia e trova nuovi spunti, continuando a stupire con plot twist ed effetti visivi, ma soprattutto con una sceneggiatura sempre sagace. La storia opera un vero e proprio reboot di se stessa, e questa stagione per forza di cose si basa su premesse nuove: cosa sarà di Eleanor e delle altre anime dannate? Schur dà una sterzata verso l’action fantastico, trascinando i personaggi in una corsa folle, che finisce per rimettere ancora una volta in discussione le sue stesse premesse.
Come fa notare Kathryn VanArendonk su Vulture, The Good Place è più di un semplice racconto a rompicapo. Non fa sentire lo spettatore preso in giro, quando rivela i suoi twist; fa affezionare ai suoi personaggi, peccatori pieni di difetti che rappresentano tipi umani tra i più riconoscibili; parla di redenzione, ma mettendola al servizio dello spirito comedy; presta attenzione alla resa visuale degli effetti in CGI a cui è dedicato un filone di gag, che accentuano la psichedelia di The Good Place. È pura televisione di oggi: tutta trama orizzontale, con piccoli momenti centrici che definiscono i personaggi, oltrepassando i generi per entrare in territori fantastici, mistici e grotteschi.
Come non ha avuto paura di reinventarsi la prima volta, la serie promette di andare in una direzione ancora nuova, che porti il discorso al livello successivo. La terza stagione, già confermata, preannuncia un ampliamento del mondo narrativo costruito da Schur.
Se non l’avete ancora recuperata, in Italia la potete vedere su Infinity. La seconda stagione uscirà il 21 febbraio.