Counterpart: suspense, universi paralleli e J. K. Simmons. Serve altro? di Diego Castelli
Counterpart è un po’ la figlia di Fringe e Homeland
Aspettavo con ansia il primo momento del 2018 in cui avrei detto “aspetta che mi esalto”, e quel momento è arrivato con Counterpart.
Il pilot della nuova serie di Starz era in giro già da qualche settimana, ma non volevo bruciarlo troppo rapidamente proprio perché sospettavo potesse essere gagliardo, e detestavo l’idea di guardarlo per poi attendere settimane e settimane per avere la seconda puntata. Ma ora ci siamo, è giunta l’ora, parliamone e gioiamo.
In onda su Starz, creata da Justin Marks (sceneggiatore de Il Libro della Giungla), Counterpart è un ideale punto di incontro fra Homeland, The Americans e Fringe. Racconta la vicenda di Howard Silk (interpretato dal premio oscar J.K. Simmons), funzionario governativo di basso livello che da tempo spera in una promozione che non arriverà mai, e che all’improvviso si trova la vita stravolta da una rivelazione incredibile: l’agenzia per cui lavora nasconde da decenni l’accesso a un universo parallelo in tutto e per tutto simile al nostro, ma che proprio dal momento della scoperta ha cominciato a divergere sempre più vistosamente dalla nostra realtà. In quell’universo, Howard Silk è tutt’altro che un sottoposto, è anzi un agente fichissimo che viene da questa parte per indagare su una serie di omicidi compiuti da una letale killer, mandata per scopi ancora da chiarire.
Il paragone con Fringe mi pare presto spiegato, dato il tema degli universi paralleli, ma a contare sono soprattutto gli altri riferimenti. Per il momento Counterpart non spinge troppo sul pedale della fantascienza, che resta in primo luogo uno strumento per costruire un thriller politico e spionistico che profuma di Guerra Fredda, con i due mondi paralleli impegnati da anni in un gioco diplomatico e militare in cui ogni lato cerca di ottenere dall’altro informazioni e risorse, concedendone il meno possibile.
Ambientata ai giorni nostri, ma girata con uno stile plumbeo e burocratico da vecchia Unione Sovietica, Counterpart funziona subito per la capacità di tenere insieme un’anima thriller realmente appassionante – pezzi di suspense vera costruita con pochi, collaudati strumenti di messa in scena – e una seconda natura più introspettiva, sobria e perfino tenera. Quando si tirano in ballo gli universi paralleli, conditi da personaggi che incontrano i loro doppioni, a entrare inevitabilmente in gioco sono anche altri temi legati all’identità, al libero arbitrio, al rimorso e al rimpianto.
In questo senso, in attesa di capire se Counterpart diventerà anche una serie pienamente fantascientifica, a colpire è il perfetto equilibrio fra le scene più rapide e tensive da una parte, e quelle più riflessive e analitiche dall’altra, in cui i due Howard si scrutano e studiano per capire, a conti fatti, “chi è il migliore”.
Il meccanismo funziona perché all’inizio l’Howard di successo pare evidentemente superiore all’altro, sfigato insoddisfatto che non è riuscito a combinare niente nella vita. Ma la questione non è così semplice, perché l’effetto farfalla funziona in molte direzioni diverse, e ciò che il secondo Howard ha guadagnato sul lavoro sembra averlo perso nella vita affettiva, nell’amore, in una più profonda connessione con i propri sentimenti (l’Howard sfigato ha avuto una bella vita con una moglie ora in coma dopo un incidente, mentre la moglie dell’altro è morta da tempo di cancro).
Sono le fasi più malinconiche ma anche fertili di questo pilot, che ci presenta due personaggi in uno, offrendo loro una possibilità che gli umani veri non potranno (forse) mai avere: quella di incontrare un altro te stesso, che ha vissuto una vita completamente diversa dalla tua, e che quindi ti permette di fare un bilancio della tua esistenza, valutandone il passato e progettandone, magari, un diverso futuro.
Non abbiamo certezze sul fatto che i molti spunti presenti nel primo episodio di Counterpart si trasformeranno in una serie efficace e toccante dalla prima all’ultima puntata. Quello che sappiamo, però, è che J. K. Simmons ne è fin d’ora un fantastico protagonista. Benedetto con una delle facce più riconoscibili ed espressive di Hollywood, Simmons riesce a costruire i due Howard in modo sì diverso, ma mai sguaiato: è chiaro che le parole pacate e il tono morbido del primo Howard contrastano con i modi spicci del secondo, ma a stupire è soprattutto la gamma di piccole espressioni, di leggeri movimenti della testa e delle spalle, e il semplice modo con cui Simmons aggredisce lo spazio della scena o vi si lascia trasportare a seconda che stia interpretando una o l’altra delle due versioni di Howard.
Il continuo tira e molla fra somiglianze e differenze fa sì che i due personaggi siano insieme diversissimi, ma anche capaci di un’immediata amicizia e fiducia, senza che nulla stoni nello sguardo dello spettatore. E di fronte a questa bravura è facile abbandonarsi alle sue più immediate conseguenze, cioè una serie di domande esistenziali che sembrano essere il vero nocciolo della serie: cosa forma la nostra personalità? Quanto conta la genetica e quanto l’ambiente in cui siamo inseriti? E se l’ambiente conta così tanto, cambiarlo significa darci la possibilità di cambiare noi stessi, anche quando sembra che la vita non abbia più in serbo altre possibilità?
Questa e altre risposte, si spera, nei prossimi episodi di una serie bella da subito. Non perdetela.
Perché seguire Counterpart: fantascienza, thriller, filosofia e grande recitazione in un unico, equilibratissimo piatto.
Perché mollare Counterpart: solo se la premessa fantascientifica rappresenta un ostacolo troppo grosso per voi, noiosi fissati col realismo.