Mindhunter – La Masters of Sex dei serial killer, firmato David Fincher di Marco Villa
Mindhunter è un thriller senza indagini né omicidi, ma che ti incolla allo schermo come il più tirato dei crime
L’origine del male. O l’esistenza stessa del male. Temi enormi, che tirano in ballo non solo psicologia o sociologia, ma anche fondamentali filosofici di peso. Temi che vengono trattati quando ci si trova di fronte a manifestazioni di violenza che la razionalità non sa spiegare. Meglio: che noi persone normali non sappiamo spiegare. Perché nel corso degli anni qualcuno ha cercato di andare oltre questa cortina di mistero, per capire cosa trasforma una persona tranquilla “che salutava sempre” in un assassino senza scrupoli, sempre a caccia della prossima preda. Tra chi ha provato a spiegare l’inspiegabile, ci sono alcuni agenti dell’FBI, che verso la fine degli anni ‘70 hanno creato il concetto stesso di serial killer, andando a caccia nelle menti degli assassini: Mindhunter parla di loro.
Mindhunter è una serie tv originale Netflix, disponibile in tutto il mondo dal 13 ottobre. È creata (e in larga parte scritta) da Joe Penhall, sceneggiatore e autore inglese che ha nell’adattamento di The Road di Cormac McCarthy il titolo più grosso nella propria carriera. Il nome importante della situazione, quello che ha reso Mindhunter uno dei titoli più attesi dell’anno, è però quello di David Fincher. Il regista di Seven e Zodiac, uno specialista del tema serial killer, firma i primi due e gli ultimi due episodi della prima stagione, con uno stile immediatamente riconoscibile.
Mindhunter racconta la storia del giovane agente FBI Holden Ford (Jonathan Groff di Looking), uno che all’azione sul campo preferisce la ricerca, e del suo collega più anziano Bill Trench (Holt McCallany), responsabile della sezione del bureau che studia le scienze comportamentali. Studiando casi su casi, capiscono che dietro alle devianze che portano certe persone a commettere atrocità ci sono degli schemi, delle ricorrenze. Iniziano quindi a compiere con alcuni assassini in carcere delle sedute che sono a metà tra l’interrogatorio e la seduta psicanalitica e con l’aiuto della professoressa Wendy Carr (Anna Torv di Fringe), iniziano a sistematizzare la propria ricerca.
Mindhunter è una serie in cui a conti fatti non succede nulla: i personaggi non fanno altro che parlare di quello che vorrebbero fare o di quello che hanno fatto. Eppure non si riesce a staccarsi dallo schermo: i dialoghi tra gli agenti restituiscono il senso di una sfida personale e professionale di altissimo profilo, mentre quelli con i serial killer in prigione sono l’essenza stessa della spietatezza. Non assistiamo a scene violente, ma il modo in cui i colpevoli raccontano le proprie gesta non è meno violento.
È proprio nelle scene in carcere che Mindhunter dà il meglio di sé: dei primi episodi, rimangono in testa soprattutto i confronti con Ed Kemper, gigantesco serial killer interpretato da Cameron Britton. Il lavoro di Britton è pazzesco nel mostrare un uomo pesante e ingombrante, ma dai modi e dalla voce quasi leggiadri. I dialoghi con i due personaggi principali sono scritti in modo perfetto, con una progressiva caduta nell’abisso di cui quasi non ci si rende conto, almeno fino a quando si tocca il fondo. Questa caduta viene resa alla grande dalla regia di Fincher, che stringe l’inquadratura in modo quasi impercettibile, ma inesorabile sui killer, riuscendo a rendere con la macchina da presa la sensazione di essere risucchiati che stanno provando i personaggi.
La bellezza di Mindhunter sta tutta in questo incastro perfetto tra interpreti, autori e regista. Un incastro che, come già accaduto in The Social Network (sempre di Fincher), permette a un racconto di gente che parla in stanze chiuse e poco più di diventare appassionante. Certo, in questo caso c’è l’elemento serial killer che è sempre una carta vincente, ma di fatto stiamo parlando di gente che fa teorie sulle indagini, visto che le indagini vere e proprie, almeno nella prima metà della serie, occupano un minutaggio risibile rispetto al totale.
Di fatto, Ford e Trench sono i progenitori dei detective di Criminal Minds e in questo senso vengono raccontati con lo stesso approccio usato nei confronti di Masters e Johnson in Masters of Sex: teorici che rischiano di lasciarsi sopraffare dalla ricerca che stanno compiendo. Normalmente, gli agenti che svolgono indagini rischiano la propria vita: in questo caso, a rischio c’è la tenuta psicologica dei due personaggi principali, sempre più vicini al male. O almeno alla cosa che più vi si avvicina.
Perché seguire Mindhunter: per la perfezione con cui si incrociano interpretazioni, scrittura e regia
Perché mollare Mindhunter: perché è un thriller senza indagini, ma pieno di gente che parla di indagini