20 Aprile 2017 5 commenti

Broadchurch – Il finale di una grande serie tv di Marco Villa

L’ultimo saluto di Miller e Hardy

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I distacchi seriali sono sempre difficili. Di solito, più alto è il numero delle puntate, più ci sentiremo abbandonati quando comparirà il primo nome dei titoli di coda. E giù lacrime. A volte, però, bastano poche puntate per diventare una serie del corazon. Con appena 24 episodi spalmati in tre anni, Broadchurch fa parte di questa categoria e il finale della serie è un brutto colpo per tutti gli appassionati della coppia Miller-Hardy.

Prima la nota dolente: l’indagine della terza stagione non finisce benissimo. Tutto esce all’ultimo, facendo emergere legami inediti e raccontando lati dei personaggi mai minimamente sfiorati. E dimenticando quasi del tutto la sottotrama della figlia di Hardy, che meritava una maggiore attenzikne. Un po’ una pecca dal punto di vista narrativo, salvata però dalla dimensione eroica dei due personaggi. Un rapporto di mutuo soccorso, quello fra trama e protagonisti, che è una costante da sempre della serie.

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La forza di Broadchurch è stata quella di essere un giallo classico, con indagine da parte di poliziotti burberi-ma-buoni e il progressivo svelamento della rosa dei colpevoli, che vengono esclusi o inseriti nella lista con cadenza di quasi uno a episodio. Questo meccanismo visto e stravisto funziona perché la parte crime della serie è scritta da dio, ma anche perché è sostenuto da due personaggi da storia della tv.

E qui la parentesona è d’obbligo. David Tennant è gigantesco con il suo Alec Hardy, personaggio che si è cucito addosso al suo fisico spigoloso e al suo accento scozzese. I suoi “Millaaaah!” urlati a ciclo continuo sono la vera colonna sonora di Broadchurch, contrappunto perfetto per ogni momento del racconto. La bravura di Tennant sta tutta nel riuscire a trovare sempre un equilibrio nonostante un ruolo che spinge sempre verso la macchietta. Alec Hardy non ha mai slanci affettuosi, anche quando si apre lo fa sempre in maniera rude e questo è un rischio enorme sia per un attore, sia per un autore. Personalmente non ho mai amato Tennant, in tutte le sue prove l’ho sempre trovato eccessivo, troppo spinto: nelle tre stagioni di Broadchurch cresce invece in maniera esponenziale. Ruolo della vita, fino a questo momento, con buona pace dei fan del Dottore.

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Il merito va però diviso al 50% con Olivia Colman, anche lei in grado di far reggere tre stagioni a un personaggio che rischiava di deragliare dopo tre puntate. Il suo è il volto di una donna prima insoddisfatta, poi distrutta, infine decisa a non concedere un millimetro della propria vita e della propria autonomia. Ellie Miller è il vero motore di Broadchurch, il personaggio che fa muovere tutte le vicende, sia in maniera fisica (il suo andirivieni con borsello), sia in maniera emozionale, perché è attraverso la sua smorfia di tristezza – ma mai di rassegnazione – che lo spettatore vive ciò che accade in quella cittadina che a naso se la gioca con Cabot Cove in quanto a rapporto tra crimini violenti e numero di abitanti.

Uno degli aspetti positivi del finale, oltre alla rinuncia al lieto fine nella famiglia Latimer, è la scelta di mostrarci i due protagonisti a fuoco come non mai: sono loro due, chiusi tra le quattro mura della centrale, a risolvere il caso, facendo ricorso a tutte le loro migliori abilità. Il momento che più di tutti resterà in testa ai fan di Broadchurch, però, è quel dialogo finale sulla panchina (ovviamente sotto la scogliera), con Miller che propone di andare a bere una birra e Hardy che risponde con un candido “No”, provocando nella collega il suo tipico mezzo sorriso. Due vecchi coniugi che non sono mai stati sposati, ma che sono legatissimi. Al netto delle imperfezioni dell’indagine, ciò che conta è che Broadchurch sia finita così.



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