2 Marzo 2017 8 commenti

Girls 6×03 – Giù un’altra bomba memorabile di Diego Castelli

Un episodio spiazzante che ha molto da insegnare

Copertina, Olimpo, On Air

Girls (3)

OVVIAMENTE SPOILER

Domenica scorsa è andato in onda l’ennesimo episodio memorabile di Girls, che si aggiunge a una schiera ormai piuttosto nutrita coltivata in sei anni di storie al confine fra crudo realismo e follia hipster.
“American Bitch”, questo il titolo, sembra fare il paio con un’altra vecchia puntata della serie, e precisamente la 2×05, “One Man’s Trash”. Ve la ricordate? Era quella in cui Hannah, dopo aver conosciuto per caso un uomo più maturo nel bar di Ray, ci passava insieme due giorni, in una specie di parentesi completamente Hannah-centrica (o meglio, più Hannah-centrica del solito) e slegata dalla normale linea narrativa della serie.

Con American Bitch – il cui titolo, come si capirà meglio fra poco, è una citazione evidente dall’American Pastoral di Philip Roth – ci troviamo più o meno nella stessa situazione di sospensione: solo Hannah, un uomo che non abbiamo mai visto prima, e un racconto che rimane in qualche modo a se stante. Cambiano però tante altre cose, come il tema, lo svolgimento, e la sensazione lasciata in bocca alla fine, moooolto differente.
Per certi versi è un episodio spiazzante, che lì per lì lascia interdetti e potrebbe addirittura far pensare a un errore, a un twist troppo gratuito per essere apprezzabile. Poi, col passare dei minuti e magari pure con l’aiuto di qualche bel critico di spessore (consiglio di leggere questo articolo di Emily Nussbaum sul New Yorker, che ha detto più o meno le cose che sto per dirvi io ora, solo che le ha dette prima e molto meglio di me), ci si rende conto che quel senso di sorpresa, e quel brutto peso sullo stomaco che ne deriva, hanno tutto il senso del mondo.

Girls (4)

La trama è relativamente semplice: Hannah ha scritto un pezzo su questo scrittore, Chuck Palmer (Matthew Rhys di The Americans), che a lei piaceva moltissimo ma che ultimamente ha ricevuto accuse di molestie da parte di diverse ragazze. Palmer ha letto il pezzo di Hannah, che si chiedeva malinconicamente quante altre volte le sarebbe dovuto capitare di scoprire la doppiezza dei suoi autori preferiti, e l’ha invitata a casa sua, per avere un chiarimento con lei.
Per buona parte dell’episodio, da quando Hannah viene accolta nel ricco appartamento newyorkese di Palmer fin quasi alla fine, la storia sembra avere uno scopo semplice e preciso: riabilitare Palmer e mostrarci la sua umanità. Il che, ad una lettura superficiale e incompleta, sembra quasi un tentativo, da parte di Lena Dunham, di raccontare il difficile rapporto degli scrittori famosi con un pubblico che smette di considerarli esseri umani ma solo grumi indistinti di genio e sregolatezza, senza altre possibili caratterizzazioni e, soprattutto, immeritevoli di vie di mezzo: o li si ama o li si odia, e il passaggio può avvenire anche nel giro di un pomeriggio, sulla base del nulla.

Mentre guardiamo questo episodio siamo felici di questa interpretazione. Ci sembra di vederci, magari, un’elegante autoassoluzione della Dunham verso qualche polemica su twitter che ci siamo persi, però ci piace, e ci sentiamo di passare sopra una certa ingenuità della protagonista, non proprio usuale per Hannah, ma funzionale alla costruzione di un discorso magari un po’ didascalico, ma che ci sembra avere il suo bel senso.
Peccato che sia tutto una finzione, e che siamo caduti in una trappola, noi e la stessa Hannah.
A un certo punto infatti arriva il twist: Palmer ha ormai convinto la ragazza della sua innocenza, le ha pure regalato un libro di Roth autografato, ha stabilito con lei una connessione di cui Hannah, tornata una fan dopo essere stata un’agguerrita critica, non può che essere contenta. Peccato che poi, dal nulla, Palmer le chieda di stendersi un momento con lui sul letto. Vestiti eh, mica una cosa sporca, solo perché cerca una vicinanza umana che ormai non sente da tempo, lui che è divorziato e ora pure attaccato da tutte le parti.
Hannah è un po’ perplessa ma tutto sommato serena, si sdraia accanto a lui, Palmer si gira e tac, le piazza il pisello sulla coscia. Whaaaat?!?!

Presa un po’ male, Hannah rimane indecisa per qualche secondo, poi allunga una mano come ipnotizzata e stringe il membro per un attimo, come se si trovasse in una situazione molto diversa, e molto meno viscida, di quella in cui è. Questione di un istante, poi si ravvede e si ritrae, prima di un finale di episodio in cui i due assistono a un’esibizione delle figlia di Palmer, con Chuck estasiato dalla ragazzina e Hannah completamente interdetta per quanto appena accaduto.

Girls (9)

In questo momento rimaniamo spiazzati. Il primo pensiero è quello di un errore. Pensiamo cioè che, per amore di twist e di sorpresa, la Dunham abbia buttato via l’interessante riflessione fatta fino a quel momento, per poi mostrarci gli uomini maiali e i potenti approfittatori.
Basta poco, però, per accorgersi che non è nemmeno così, e che l’intera puntata era un trappolone in cui siamo caduti come poveri conigli, che ci ha fatto vivere una dinamica che troppe donne sperimentano sulla loro pelle in mille contesti sociali e lavorativi.

Ci rendiamo infatti conto che, fin dall’inizio dell’episodio, Chuck ha continuano a blandire Hannah con complimenti di ogni tipo. L’ha invitata nel suo appartamento ricco ma non pacchiano, agiato ma colto, in cui ha messo in mostra il suo amore per la figlia e la sua amichevole tolleranza verso una ex moglie rompicoglioni (Hannah nota esplicitamente la stranezza del non essersi allontanato da lei per fare quella telefonata). Ha continuato a dire ad Hannah quanto la trovasse intelligente, quanto avesse trovato bello il suo pezzo, e ha giustificato l’invito (un invito rivolto solo a lei) come il tentativo di far capire la sua posizione all’unica persona dimostratasi abbastanza sveglia da abbandonare le sue posizioni, se messa di fronte a informazioni più complete.
Ma è tutto finto. Non è niente altro che l’abile gioco di un prestigiatore delle parole, che punta a vendicarsi di Hannah e della sua alzata di testa. Perché anche questo è importante: Chuck non vuol portarsi Hannah a letto, non ne avrebbe comunque il tempo perché la figlia sta arrivando da lui. Chuck vuole umiliarla, e per farlo la mette in una posizione che, a posteriori, le risulterà impossibile da gestire: manipolandola fino a farsi prendere il pene in mano, Chuck abusa di Hannah e della sua fragilità, ma lo fa in un modo che difficilmente potrebbe reggere un’accusa davanti a un giudice, proprio perché Hannah, senza che lui la costringesse fisicamente, ha effettivamente fatto una mossa verso di lui. Noi che però non siamo giudici ma spettatori, e abbiamo vissuto insieme ad Hannah la manipolazione di Chuck, abbiamo capito benissimo che gioco è stato giocato, chi ha vinto e chi ha perso, e chi se ne tornerà a casa ammutolito, gabbato e senza possibilità di replica.

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L’ultimissima inquadratura dell’episodio è, in questo senso, esplicativa e bellissima. Uscendo dall’appartamento, turbata e sconfitta perché resasi conto di essere stata manovrata come un burattino, Hannah non trova la strada vuota, ma incrocia una lunga serie di altre ragazze come lei, tutte dirette verso casa di Chuck. Non è un’immagine realistica, evidentemente, ma è il simbolo di quanto Hannah, sempre così attenta a essere voce fuori dal coro e leader della sua generazione, abbia scoperto di poter essere una delle tante, una ragazza ancora ingenua che può diventare facile preda di uomini di potere.
Alla fine, dunque, scopriamo che l’episodio non aveva l’intento di spezzare una lancia verso certi autori maltrattati dalle folle, né era un goffo tentativo di creare sorpresa in una situazione che non ne aveva bisogno. Al contrario, era una trappola che Lena Dunham ha teso alla sua protagonista e ai suoi spettatori, per mettere in scena la versione più viscida e subdola dell’abuso sulle donne: quello che, invece di scegliere la strada della violenza fisica – immediatamente terrificante ma anche riconoscibile e più facilmente condannabile – si traveste di consenso e libero arbitrio, usando raffinate tecniche psicologiche per ingannare vittime non sufficientemente preparate e che, dopo, restato sconvolte e segnate da una violazione che sanno di aver subito, ma che non sanno nemmeno spiegare, a cui nessuno probabilmente crederà, e di cui probabilmente finiranno pure col sentirsi complici.

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Un monito, dunque, ma anche una spiegazione chiara e semplice di dinamiche che a volte non vogliamo contemplare, spaventati dalla complessità del male e per questo impauriti dalla possibilità di non saperlo riconoscere. Un episodio lucidissimo ed emozionante, che diventa utile non solo per le potenziali vittime, ma direi quasi soprattutto per quegli spettatori (come il sottoscritto, maschio-bianco-adulto-eterosessuale) che avendo ben poche possibilità di essere oggetto di abusi, rischia di non comprendere appieno i termini della questione, qui meravigliosamente veicolati dalla narrazione di una grande autrice.



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