Mad Men di Chiara Grizzaffi
Nuova penna per colmare un vuoto assai importante!
Nei suoi sei mesi di vita, su Serial Minds abbiamo parlato di tutto, dai telefilm più celebrati a quelli che nessuno conosce.
Con tanti buchi e tante lacune. Una di queste, era Mad Men.
Perché non ne avevamo mai parlato? Semplice, per lasciarlo fare a Chiara Grizzaffi, al suo esordio su queste pagine.
E sì, siamo tanto paraculi.
di Chiara Grizzaffi
Saltiamo la parte in cui vi spiego di cosa tratta Mad Men: l’agenzia di pubblicitari di Madison Avenue, gli anni ’60 ecc… siamo alla quarta stagione, se n’è parlato fin troppo, se non ne avete mai sentito parlare è probabile o che abbiate superato i settanta o che, parafrasando Nanni Moretti, “ve lo meritate Al di là del lago“.
Peccato però che troppo spesso Mad Men sia stata associato agli aggettivi “glamour” e “vintage”, che ne colgono solo gli aspetti di impatto più immediato. Non fraintendetemi: si vedono abiti da cocktail che ti fanno venire voglia di barattare anni di femminismo per una villetta con giardino e un uomo che lavori al posto tuo. Ma forse si dovrebbe smarcare una serie tv che è fra le più belle e giustamente premiate degli ultimi anni dall’etichetta di accessorio alla moda.
Vero è che, non potendo permettersi fastose ricostruzioni degli esterni della New York anni ’60, Matthew Weiner e soci hanno optato per una ricostruzione maniacale degli interni: dall’arredamento ai mozziconi di sigaretta nei posacenere – rigorosamente di marche diverse e già prodotte negli anni ’60 – tutto è il più possibile fedele all’originale. Guardando le misure di Christina Hendricks è difficile crederci, ma perfino le attrici sono state scelte anche in base al fatto che non avevano mai fatto ritocchi di chirurgia estetica.
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È evidente che la serie fa della superficie, dell’esteriorità, un aspetto chiave per restituirci le atmosfere di un’epoca: l’odore delle Lucky Strike sempre accese, il tintinnio del ghiaccio nei bicchieri, il ticchettio delle macchine da scrivere delle segretarie. Ma non si tratta solo di un’operazione nostalgia, e lo dimostra la cura estrema nello sviluppo del plot e dei personaggi. Si tratta dell’aspetto più innovativo della serie, e di quello meno evidenziato. Sarebbe facile, in prima battuta, identificare ciascun personaggio con uno stereotipo e intuirne in qualche modo gli sviluppi. Don Draper è il donnaiolo di successo, Betty la casalinga devota e nevrotica, Peggy la segretaria bruttina e un po’ sfigata, Joan quella sexy.
Dopo aver in qualche modo incoraggiato questa lettura, si inizia però man mano a dare profondità, a sfaccettare i personaggi e a smentire le attese e le ipotesi degli spettatori su di loro. E lo si fa, udite udite, senza i grandi picchi di emotività o gli spiegoni di troppe serie drammatiche. Avete presente quello che si insegna in qualunque corso di sceneggiatura for dummies: “non dite le cose, fatele vedere”? Ecco, in Mad Men ci riescono.
In una delle mie scene preferite Sally, la figlia più grande di Don, guarda la tv, e vede le immagini di un monaco tibetano che si dà fuoco: una citazione molto sottile da Pastorale Americana di Philip Roth, che ci dice in pochi fotogrammi che Sally è destinata a dare qualche problema in famiglia. Ma anche la parabola discendente di Don, o la lotta di Peggy per affermarsi sul lavoro nonostante il suo essere donna – uno dei temi caldi di Mad Men è proprio la discriminazione femminile, e tutte quelle che sono passate per quel far west dell’etica sul lavoro che è l’industria della creatività avranno di che riconoscersi – non sono mai coronate da frasi come “forse sto diventando un alcolizzato” oppure “è dura essere donna”. I personaggi cambiano, si evolvono senza prima avvisarvi, mostrandovelo attraverso le loro azioni, e la loro tessitura psicologica è straordinariamente complessa. Per questo succede spesso che un personaggio di Mad Men su cui vi siete fatti un’idea vi costringa a cambiare opinione o vi sorprenda, senza per questo risultare incongruente. Un piccolo passo per un copione, un grande passo nell’universo delle sceneggiature “telefonate” e i cui sviluppi si possono prevedere fin dal primo minuto. Anche l’associazione tra le marche citate in ciascun episodio (tutte esistenti) e le vicende private dei personaggi rifiuta qualunque stereotipo su mercificazione, consumismo o affini per cercare una relazione più profonda con gli oggetti. E una valigia Samsonite diventa metafora del “viaggio finale”, della morte.
Se non vi basta sapere questo per dargli una chance, sappiate che Mad Men non è una di quelle serie che si guardano tutte di fiato. Vorrete centellinarlo, anche perché si tratta di un drama con la D maiuscola. Insomma, ciascuna puntata pesa parecchio, e vi ci vorrà del tempo per recuperarlo, ma vi darà grandi soddisfazioni. E poi la messa in onda di ciascuna serie inizia a luglio. Potrete finalmente uscire dal tunnel delle repliche della Signora in giallo.