Off the Map di Marco Villa
Medici belli nella giungla
Shonda, mettiamoci seduti con calma e parliamone.
Sì, lo so che Off the Map non è una creazione tua, ma di una delle autrici di Grey’s Anatomy, però è da mesi che la ABC lo vende in giro come “la nuova serie prodotta da Shonda Rhimes”. E su quello non avevi niente da ridire, o sbaglio?
Sì, so anche che non è giusto chiamarti in causa solo per le cose negative o darti addosso perché al Seattle Grace piangono sempre e tu hai dato a quel telefilm il nome del personaggio più odioso, così adesso non puoi suicidarlo nella tromba dell’ascensore.
Però, dai, siamo onesti.
Off the Map fa cagare.
Come sempre, andiamo con ordine.
Off the Map è una serie medical creata da Jenna Beans, che vede tra gli executive producer Shonda Rhimes, ovvero la prosperosa autrice di Grey’s Anatomy e Private Practice. Il primo episodio è andato in onda il 12 gennaio su ABC, facendo registrare ascolti piuttosto bassi. In quella fascia oraria, però, prima c’era The Whole Truth e, rispetto allo sfortunato legal, gli ascolti sono stati stellari.
Ad ogni modo, Off the Map racconta di medici belli nella giungla. Punto. Giratela come volete, il succo è questo. Se queste quattro parole vi fanno dire: “Per Diana! Ma è geniale! Non medici sfigati nella giungla o medici belli in città: medici belli nella giungla!”, Off the Map è la serie che finalmente colmerà il vuoto interiore che vi ha lasciato Casa Vianello.
Come ogni serie medical, lo spunto iniziale del racconto è l’arrivo di nuovi medici. In questo caso sono tre, due ragazze e un giovine, che arrivano “somewhere in South America” in una clinica d’emergenza in mezzo alla foresta.
Primo problema: i dottori esperti, che si trovano alla clinica già da tempo, sono insopportabili. Ok, neanche il dottor Benton degli inizi di ER era simpatico con Carter, però emanava comunque un senso di rispettabilità, competenza. Questi no, sono solo stronzi. Perché oltre alla spocchia da “sono il dio della medicina” tipico delle serie della Rhimes, c’è in più la componente umanitaria, che porta al nefasto esito finale di: “sono il dio della medicina e il mio ego è ulteriormente ingigantito dal fatto che sono in mezzo al niente, a curare gente povera ma dal cuore grande”. Quindi: prendiamo il clone di Patrick Dempsey, mettiamogli un filo di barba e il gioco è fatto.
Secondo problema: ovviamente i tre nuovi arrivati non sono lì per libera scelta. Tutti hanno (o hanno avuto) dei problemi personali/professionali che li hanno costretti a scappare dalle proprie città e un po’ anche da se stessi. Aggiorniamo il concept: “medici belli e complessati nella giungla”. Si sa, il conflitto interiore non può mancare, ciò che invece dovrebbe mancare è il suo spiattellamento nella prima puntata. Al termine del pilot sappiamo già tutto dei tre, conosciamo i loro fantasmi e addirittura li abbiamo già visti all’opera. Ti è morto il fidanzato? Vai, scoppia a piangere perché il vedovo, giunto lì solo per gettare le ceneri dell’amata, è costretto a tornare a casa perché sta morendo. Vai, lotta per lui e per il suo diritto a far riposare la consorte ove lei avrebbe tanto voluto, ovvero in un lago pieno di “micro organismi che si illuminano quando getti qualcosa”. Dai, sul serio?
Chiudendo, l’impressione è che in Off the Map si siano fusi gli elementi peggiori di Grey’s Anatomy e Private Practice, ovvero la scarsa simpatia di molti personaggi del primo e l’irritante superficialità del secondo. Con in più una pennellata di terzomondismo e ricatto morale, giusto per rendere odioso qualcosa di insopportabile.
Che dire, Shonda? Rock ‘n’ roll!
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