Good Behavior: Lady Mary di Downton Abbey diventa ladra, alcolista e zozzona di Diego Castelli
Ma cosa direbbe papà?!?!
Oggi parliamo di Good Behavior, nuova serie di TNT, e di solito alle serie di TNT ci si avvicina con un misto di rispetto e diffidenza: rispetto perché raramente fanno ciofeche vere, ma anche diffidenza perché di solito non riescono ad arrivare al capolavoro. Esempi di quest’area grigia fatta di onesto intrattenimento senza troppe pretese: The Closer, Rizzoli & Isle, Major Crimes, The Last Ship, Murder in The First, Animal Kingdom.
Forse anche con Good Behavior finiremo in quell’area (spoiler!) però intanto c’è un motivo di curiosità in più. Protagonista della serie, basata sui romanzi brevi di Blake Crouch, è una truffatrice alcolista e vagamente cleptomane, che vive una vita fatta di raggiri e parrucche su cui pesa il pensiero del figlio Jacob, di cui difficilmente riuscirà a riavere la custodia a meno di darsi una regolata o sborsare un sacco di soldi. La curiosità nasce dal fatto che questa protagonista ben poco equilibrata ha la faccia di Michelle Dockery. Esatto, la Lady Mary di Downton Abbey, la primogenita del conte di Grantham affetta da una gravissima forma di palinculite (salvo rari momenti di passione), passa dai vestiti raffinati e dall’ostinata nobiltà di atteggiamenti che l’avevano resa famosa nella mitica serie di ITV, alla vita dissoluta e criminale di Letty, che di certo ha molte abilità ma nella cui vita il concetto di “equilibrio” è scomparso da molto tempo.
Per noi serialminder di lungo corso, vedere lady Mary in queste condizioni, perfino con l’accento americano, proprio lei che di certe inflessioni pesantemente britanniche aveva fatto un marchio di fabbrica, è un’esperienza insieme disturbante e assai divertente. E la serie non è male. Non si tratta, come il concept farebbe pensare, di episodi autoconclusivi con “la truffa della settimana”, bensì di una struttura in larga parte orizzontale, in cui Letty prima cerca di aiutare una donna braccata da un sicario assoldato dal marito di lei, e poi finisce con l’iniziare una strana, erotica, viscerale e ambigua relazione proprio con quel sicario, l’enigmatico Javier.
Con un certo scarto rispetto alla norma di TNT, gli autori di Good Behavior hanno provato a inserire più livelli lettura: ci sono i classici elementi dei film con ladri e truffe, in cui si gioca sulla suspense del colpo ben riuscito, sempre a rischio fallimento; c’è un po’ di comedy nel rapporto fra Letty e Javier, ma soprattutto in quello fra la protagonista e Christian, l’ufficiale che controlla la sua libertà vigilata; c’è soprattutto il drama romantico e familiare, che alterna la passione difficile e colpevole fra Letty e Javier, all’amore di lei per il figlio perduto, che vive con la madre e che Letty vorrebbe riuscire a riconquistare (in senso metaforico ma anche legale).
Il tutto, ovviamente, basato quasi solo sulla figura di Letty, dal cui punto di vista passa praticamente tutta la narrazione. Abbiamo così un personaggio difficile, problematico, a volte perfino antipatico (e qui le faccette della vecchia e pedante lady Mary giocano un ruolo non piccolo), ma in cui è comunque facile immedesimarsi proprio per la sua insistita umanità, per quell’aggancio al reale (il figlio da recuperare) che le permette di non essere solo una ladra-drogata-alcolista. Un classico anti-eroe dunque, che rifugge la luce candida del tipico buono hollywoodiano, ma dimostra di avere un suo sistema di valori, primo fra tutti, per esempio, l’ostilità verso l’omicidio.
Una protagonista trasformista e multisfaccettata e una storia che non ha paura di buttarsi su tematiche anche molto diverse nel corso della stessa puntata, sono dunque fra i principali motivi di interesse per Good Behavior. È anche vero, però, che sono armi a doppio taglio: al di là dell’ansia comprensibile nei vecchi fan di Downton Abbey (sarà una cazzata, ma quando associ una faccia a un personaggio può non essere semplice seguire quella stessa faccia in un contesto radicalmente diverso), il principale problema di Good Behavior sta nella parziale incapacità di mentenere costante l’equilibrio fra le diverse componenti. In alcuni casi i passaggi fra Ocean’s Eleven e 50 Sfumature di Grigio sono fluidi e morbidi, in altri invece le diverse anime della serie sembrano stridere in maniera più vistosa, come se la sceneggiatura procedesse per blocchi solo giustapposti: ora la scena di suspense, ora il dramma col bambino, ora scopare di brutto.
Intendiamoci, tutte le sceneggiature sono così, ma il trucco è ingannare lo spettatore dandogli l’idea di un racconto unitario, tanto più difficile quante più sono le sfumature contenute nella storia.
Rimane però un prodotto abbastanza originale nel panorama attuale, e fossi in voi una chance gliela darei.
Perché seguire Good Behavior: per il concept abbastanza fresco, il buon ritmo, e una protagonista che funziona.
Perché mollare Good Behavior: è una serie con tante anime diverse, che non sempre collaborano al meglio. E vedere Michelle Dockery che parla con accento americano in uno scenario post-1930 non è semplicissimo.