Lights Out di Diego Castelli
Piccoli Rocky crescono (e piangono meno)
Spesso ci è capitato di recensire un pilot prima ancora di conoscerne i risultati d’ascolto. Siamo mica dei pusillanimi.
Stavolta invece, al momento di parlare del primo episodio di Lights Out (nuova serie di FX creata da Justin Zackham), sappiamo già come ha performato…
Cacchio se è andato male!
Poveraccio, peggior risultato di sempre per il debutto di una serie drammatica su FX (patria, ricordiamolo, di perle vere come The Shield, Sons of Anarchy e Nip/Tuck).
Se volessi prendermela comoda, userei quel dato negativo come scusa per vomitare critiche, avendo le spalle ben coperte.
Ma siccome io, a dispetto del fisico approssimativo e del terrore degli insetti, ho un cuore impavido, me ne frego altamente e vi parlo di Lights Out come di un gran bel telefilm, che meriterebbe ben più fortuna!
La storia: Patrick “Lights” Leary (non Leery, Dawson non c’entra), è un ex campione di pugilato sposato e con tre figlie. A cinque anni dall’ultimo incontro, dopo aver lasciato la boxe su preghiera della moglie, si ritrova praticamente al verde: la palestra gestita con il padre e il fratello brucia più soldi di quanti ne raccolga, un recente progetto immobiliare è praticamente crollato (oh, come faccio io i giochi di parole…) e la gloria di un tempo non serve a pagare i debiti. Tra lavoretti da vip semi-dimenticato e incarichi non proprio “legali” come riscossore di debiti, Patrick si rende conto che, forse, dovrà tornare a combattere un’ultima volta.
Sì, lo so, messa così è banale. E’ pieno il mondo di ex pugili alla canna del gas, che devono battersi per sopravvivere più di quanto lottassero sul ring. A mo’ di esempio farò il nome di una saga filmica quasi sconosciuta, roba da cineforum: Rocky.
Lights Out però va un po’ oltre, proponendo qualche interessante variazione. E’ tutto legato al comportamento del protagonista, interpretato da Holt McCallany, attore dal volto enigmatico ma non privo di carisma. Patrick è sì un ex pugile segnato dai colpi (immancabile la tac che evidenzia possibili problemi neurologici, inquietante ombra da qui a fine serie), ma è anche stranamente tranquillo. Non è il classico imbecillotto con pugno facile e lingua sciolta, a cui basta un niente per accendersi e finire in casini mastodontici. A una inevitabile componente aggressiva, infatti, è affiancata una straordinaria gentilezza, che Leary riserva alle figlie, alla moglie, al padre, e anche al fratello, pur incapace di salvarlo dalla bancarotta.
Insomma, si nota la capacità di dipingere un personaggio granitico, persino minaccioso, ma anche buono e potenzialmente fragile. Voi mi direte: ciccio, guarda che il Balboa era uguale… E invece no, cari miei, perché Stallone scivolava spesso nel melodrammatico, nell’emozione scomposta, fino al mitico urlo con labbro storto (Adrianaaaaa!). Patrick, invece, se ne starebbe innocuo e zitto, se non fosse per il portafogli vuoto. Emerge dunque la figura di un uomo sorprendentemente “normale”, mai sopra le righe, messo all’angolo e costretto a reagire da eventi fuori del suo controllo (la crisi economica, il fallimento dei suoi progetti, i rischi per la salute). Un uomo come tanti, e quindi come noi, per il quale è facile provare affetto e simpatia. Anche se ha la faccia di uno che potrebbe staccarti la testa con uno sputo.
Questo il punto di maggior interesse, ma fortunatamente non ci si dimentica del resto, dal casting azzeccato alla buona regia – alcune inquadrature sono splendide, così come le scene di boxe. Rilevanti anche certi esperimenti nella sintassi narrativa, che mostra sempre le conseguenze delle scazzottate “prima” dei combattimenti stessi, così che il menar pugni avvenga solo in flash back: lo scontro fisico rimane sempre e comunque il “passato” di Patrick. O, almeno, quello che lui vorrebbe fosse il passato.
Rimane da chiedersi il perché dell’iniziale fallimento. Difficile dirlo, visto che il pubblico delle cable non si fa certo spaventare dai prodotti complessi. Allo stesso tempo, gli spettatori di FX sono abituati a telefilm più violenti e ritmati (The Shield), più dichiaratamente thriller (Damages), o più provocatori (Nip/Tuck). La relativa sobrietà di Lights Out – più vicina alle lentezze sospese di AMC (Mad Men, Breaking Bad, The Walking Dead) – potrebbe averli allontanati, unita forse alla difficoltà di proporre, a gente che ha ben presente i danni della crisi economica, uno show che evoca proprio quegli stessi spettri.
Per la serie “almeno quando accendo la tv, vorrei non pensare alle rate del mutuo”.
Previsioni sul futuro: Patrick dovrà scendere a continui compromessi per garantire un futuro dignitoso alla sua famiglia, fino a conseguenze pericolose e inaspettate. Da capire quanto spazio occuperà l’ipotesi di un ultimo incontro.
Perché guardarlo: il racconto è pacato ma intenso, e a suo modo abbastanza originale.
Perché mollarlo: al di là del fatto che è già a rischio chiusura, non è esattamente una serie dal ritmo incalzante…