Easy: una serie buona che poteva essere eccellente di Eleonora Gasparella
Come dicevano Morandi, Tozzi e Ruggeri: si può dare di più.
Ha debuttato a fine settembre Easy, la nuova serie di Netflix prodotta e diretta da Joe Swanberg (LOL, Kissing in the Mouth, Drinking Buddies). Nel cast ci sono una serie di attori meno conosciuti a fianco di nomi più noti come Orlando Bloom, Dave Franco e Emily Ratajkowski.
Easy è una serie antologica fino al midollo, dunque ogni episodio, 8 in totale, è scollegato dagli altri per quanto riguarda storie e personaggi (tranne nelle puntate “Brewery Brothers” e “Hop Dreams”). Il macrotema comune a tutta la serie è quello delle relazioni e del sesso. Sì, lo sappiamo: è un argomento vecchio come il mondo e presente in un milione di prodotti telefilmici di maggiore o minore qualità. Quelli di migliore qualità, beh, li conosciamo tutti: Sex and The City in primis, ma anche The L World o il più recente Girls. Tutte queste serie, diventate spesso di culto, hanno trattato il tema delle relazioni in modo talmente innovativo e inconsueto da essere capace di far scoprire allo spettatore un punto di vista diverso, da cui guardare e affrontare la questione in modi imprevedibili. Ecco questa cosa Easy purtroppo non la fa, o meglio: la fa solamente a metà.
Bisogna ammettere che sono tantissime le angolazioni da cui Easy ci presenta la questione: c’è la coppia di lunga data con una vita sessuale resa difficoltosa dalla routine e dai figli, c’è l’intellettuale che sperimenta l’assenza della sfera privata causata dalle nuove tecnologie, ci sono le scelte istintive e rischiose che vengono accantonate in favore di una vita di coppia più solida e sicura. Si tratta di argomenti che coinvolgono una fetta davvero ampia di persone, un po’ di tutte le età: ognuno di noi ha sperimentato qualcosa di simile a ciò che si racconta in Easy e perciò riusciamo senza problemi ad immedesimarci in questo o quel personaggio.
Il merito è certamente di colui che ha ideato e sviluppato la serie: Joe Swanberg, regista prettamente cinematografico e principale esponente del mumblecore, genere caratterizzato dal massiccio utilizzo dell’improvvisazione.
Anche per Easy è stato così: gli attori dovevano essere in grado di improvvisare su copioni che erano in realtà dei semplici suggerimenti, e il risultato è che gli episodi si reggono in gran parte sulla buona prova dei loro protagonisti. Nella puntata “Controlada” ad esempio, la performance dei tre attori principali regala una storia senza cali di tensione, che si conclude in modo che certamente ci si poteva aspettare, ma che non per questo è meno emozionante. Anche in “Utopia” Orlando Bloom e Malin Åkerman danno vita a un episodio notevole, nonostante una trama praticamente inesistente. Insomma, Easy qualche emozione la riesce a trasmettere, indubbiamente.
Il problema è che spesso queste emozioni rimangono “sospese” all’interno di episodi ricchi di domande che non trovano e non danno risposta. Questo è frustrante, perché mentre in Girls c’è uno sviluppo narrativo che consente di dare anche una parziale soluzione o chiusura ad alcuni quesiti, in Easy, essendo ogni episodio autoconclusivo, ci sono semplicemente buoni spunti che però non vanno da nessuna parte, oppure si chiudono in modo fin troppo rapido e sbrigativo. Così è come se guardassimo e provassimo emozioni senza mai afferrarle e senza entrare davvero nell’anima dei personaggi (e dunque riuscire ad indagare meglio anche nella nostra).
Per questo mi sento di dire che Easy è un buonissimo lavoro fatto a metà. A livello di setting e fotografia la serie è ottima: i personaggi, quasi tutti piccoli imprenditori, studenti, artisti o intellettuali si muovono sullo sfondo di una bellissima e multiculturale città come Chicago, con i suoi parchi, i suoi cambi di stagione e i suoi club e locali. La fotografia sussurrata e quasi “sporca” nel suo voler essere senza filtro, rende ognuna di queste storie una storia vera e onesta, messa sullo schermo così com’è e priva di occhio critico.
In conclusione, con un prodotto come Easy, Swanberg poteva mettersi alla prova rischiando un altro po’ e oltrepassando i suoi limiti, anziché confezionare un bel prodotto che sa di copia dei suoi lavori precedenti. Alcuni episodi sono brillanti, ma altri risultano davvero noiosi e senza guizzi, al di là delle buonissime performances degli attori. Si poteva fare ancora un pochino di più.
Perché seguire Easy: vi innamorerete di alcuni personaggi, e dell’autunno chicaghese.
Perché mollare Easy: perché purtroppo non aggiunge molto a ciò che siamo già abituati a vedere e si sa, le relazioni tra le persone sono piuttosto noiose.