Van Helsing: un’originalissima storia di vampiri e apocalisse (più o meno…) di Diego Castelli
Bel mischione, e via
Mi rendo perfettamete conto che c’è qualcosa che non va. In questa settimana ho recensito quasi solo seriacce demmerda e remake più o meno inutili, della cui inutilità si sapeva peraltro alla vigilia, lasciando indietro la terza stagione di Transparent (di cui non ho ancora visto alcunché) ma pure il ritorno di The Fall e la partenza di Easy, il drama antologico e un po’ indie di Netflix. Andando verso una settimana dove spiccano ben tre bombe annunciate – Westworld di HBO, Luke Cage di Netflix e Crisis in Six Scenes di Woody Allen/Amazon – questi giorni appena trascorsi appaiono dunque come una landa di immotivato masochismo, una lunga serie di martellate nei coglioni che forse potevano essere risparmiate a me (e a voi) con qualche intervallo più lieto.
Non so perché è successo, forse inconsciamente volevo liberarmi di tutto lo schifo e l’inutile per poi concentrarmi sui prodotti di qualità. Ecco, se ci avete seguiti fino a qui spero avrete voglia di fare un ultimo sforzo: delle robe grosse e attesissime parleremo da domani (il nostro Francesco Martino in queste ore è a Roma per vedere l’anteprima del pilot di Westworld), oggi però parliamo di Van Helsing.
In onda su Syfy, ispirata alla figura dell’acerrimo nemico di Dracula la cui discendente è la protagonista dello show, Van Helsing aveva tutte le carte in regola per inserirsi nel flusso di mediocrità che ha appestato tutta la nostra settimana recensoria. E così è, anche se forse è un po’ meglio di altre cose, oppure è il prodotto di un meccanismo di difesa mio personale, che mi porta ad apprezzare anche la narrativa dei caloriferi pur di non dover rigettare su un altro telefilm.
Ispirata a un’omonima serie a fumetti distribuita da Zenescope Entertainment e adattata per il piccolo schermo da Neil LaBute, Van Helsing sembra prendere un po’ tutto quello che la serialità postapocalittica di questi anni ha buttato nel calderone, per tirarne fuori una specie di ibrido sanguinolento. C’è la società ormai andata a farsi benedire, alla The Walking Dead e cugini, ci sono i vampiri, che qui sembrano un incrocio fra gli zombie, le creature succhiasangue di The Strain, e i vampiri pienamente senzienti di un True Blood, e c’è perfino la figura di una cacciatrice, Vanessa Helsing, che in termini di rimando seriale non può che far venire in mente Buffy.
Un bel mischione dunque, che mette subito in evidenza la maggior parte dei suoi limiti, ma anche qualche inaspettato pregio.
Il doppio pilot è infatti un crescendo. La prima metà (che poi è il primo episodio) è abbastanza bruttina. Una lunga serie di cliché postapocalittici ci mostrano soldati nascosti dentro bunker, mostri che da fuori cercano di entrare, ex amici trasformati in creature mangiacarne, e tutto il relativo cucuzzaro. L’ambientazione è poi molto spoglia, minimale, quattro stanze e pochissimi esterni, una decisione che pare dettata più dalla volontà di risparmiare che non da precise scelte stilistiche. E poi ci viene pure detto che l’epidemia vampiresca è stata causata dall’eruzione di un vulcano, che suona ridicola come la storia dei vaccini e dell’autismo.
Quando la noia sembra ormai farla da padrona, arriva però il primo guizzo, che poi è il più importante sul lungo periodo: si scopre che Vanessa, che per la maggior parte del pilot rimane addormentata su un tavolo lasciando quasi interamente la scena al suo guardiano Alex (Jonathan Scarfe), ha la possibilità di guarire chiunque dal vampirismo tramite il suo sangue. Quella che lì per lì sembra una scelta come un’altra per provare a piazzare almeno un elemento di novità, è in realtà potenzialmente dirompente nella mitologia dei vampiri ma anche degli zombie. Dopo aver guardato per anni serie e film in cui la trasformazione in mostro era definitiva, e lasciava ai sopravvissuti il compito di convivere con la necessità di uccidere i propri cari, questo nuovo elemento crea un ulteriore livello di complessità, perché ora una possibilità di salvezza c’è, e ogni volta che uno dei protagonisti punta una pistola al cranio di un mostro sa che sta per eliminare un’effettiva “persona”. Se gli autori si rivelassero capaci di giocare bene questa carta, potrebbero venirne fuori cose interessanti, e magari già lo saprei se avessi letto il fumetto, ma non sapevo neanche che esistesse, quindi amen.
Come a mantenere una flebile promessa, il secondo episodio è già parecchio superiore al primo. Dedicato in larga parte a un flash back che racconta la vita di Vanessa e degli altri protagonisti prima dell’apocalisse, gode di un respiro più ampio, una suspense più serrata, e un paio di scene molto forti, come l’assalto in casa della protagonista sotto gli occhi della figlia, oppure la trasformazione della dottoressa che nel primo episodio avevamo già visto in versione vampiresca. Sono forti nel puro senso della messa in scena, per la bravura degli attori, e per la crudezza con cui la macchina da presa va a cercare il dettaglio violento ma anche la sfumatura di terrore sui volti.
Il risultato, beninteso, non è comunque eccezionale, e siamo in presenza di una serie che difficilmente può arrivare al livello delle (non tantissime) altre cose discrete di SyFy, come Z Nation o 12 Monkeys. Però, se mi faccio un bell’esame di coscienza, mi rendo conto non senza un pizzico di vergogna che di Van Helsing voglio vedere qualche altro episodio. Magari anche solo per dire “ah no, era effettivamente una stronzata”, ma intanto è già meglio di qualche altro drama inutile visto questa settimana.
Perché seguire Van Helsing: al netto di una generale banalità del concept e di mezzi tecnici non eccelsi, qualche idea interessante c’è, e il secondo episodio è molto meglio del primo.
Perché mollare Van Helsing: malgrado l’inaspettata curiosità che mi ha saputo strappare, c’è ancora un’alta probabilità che sul lungo periodo Van Helsing si riveli una cagatona buona giusto per stare in sottofondo durante una bella sessione di uncinetto.