29 Settembre 2016 24 commenti

The Exorcist: ma non l’avevano già fatto? di Diego Castelli

O forse è solo che questo 2016 sembra il 1985?

Copertina, Pilot

The Exorcist (5)

Venghino signori venghino! Non abbiate paura, il circo dei freak è spaventoso, ma la vostra incolumità è il nostro primo pensiero!
Copie, cloni, innesti di DNA a cazzo di cane, questo è pane per i nostri denti!
L’eterno ritorno dell’uguale, l’immortalità della reincarnazione, la possessione di corpi seriali già morti con l’anima dei telefilm che furono.

Se la cosa non fosse chiara, sto cominciando a sbroccare. Per il terzo giorno di fila mi ritrovo a recensire un remake, e per la terza volta di fila è una roba che non serve a nessuno.
Dopo MacGyver (bleah) e Lethal Weapon (decente ma chissene) ora arriva The Exorcist, tratta dalla ben nota saga cinematografica iniziata nel 1973, a sua volta derivante dall’omonimo romanzo di William Peter Blatty, datato 1971.
La storia, ben nota e ripresa dalla serie per sommi capi, è quella di due esorcisti, uno vecchio ed esperto, l’altro alle primissime armi, chiamati a risolvere il caso di una ragazzina posseduta dal Maligno. Dallo scetticismo iniziale, specie da parte del prete più giovane, si passa alla consapevolezza di avere di fronte una forza effettivamente soprannaturale, e poi a una lotta spietata contro il Diavolo, nella speranza di liberare la giovane vittima.
Nel ’71 il film raggiunse un successo clamoroso, guadagnando badilate di dollari e influenzando in maniera profonda il cinema horror contemporaneo e futuro, che si sarebbe riempito di seguiti, figli, figliastri e nipoti. Tuttora è considerato uno dei film più spaventosi della storia cinema, perché capace di instillare nello spettatore un’inquietudine mistico-filosofica che va al di là del semplice salto sulla sedia. Una serie di vicissitudini durante la lavorazione, nonché i problemi psicologici successivi della protagonista Linda Blair, rappresentarono ulteriori dettagli su cui costruire il mito di un film diventato pietra miliare.

The Exorcist (2)

Più di quarant’anni dopo, con in mezzo innumerevoli film e serie che da quel capostipite derivarono stili e dinamiche, FOX ha deciso che era proprio arrivato il momento della settordicesima serie sul tema, questa volta chiamata proprio The Exorcist.
Se vi sembra di cogliere dell’ironia è perché c’è, e ancora una volta siamo costretti a chiederci il senso del recupero di quest’ormai abusatissimo franchise. O meglio, il senso lo vediamo, cioè quello di mascherare con un nome altisonante una certa pochezza di idee. Però ecco, speravamo di trovare un senso più alto.

In tutta onestà io non posso considerarmi un esperto della saga originale, quindi non voglio lanciarmi in chissà quale paragone dettagliatissimo. Tanto non servirebbe nemmeno quello, perché il problema è il solito: The Exorcist, per quanto il pilot non sia orrendo, non sembra avere le gambe per poter camminare da sola, fuori dall’ombra di una leggenda che evidentemente la schiaccia e la limita. È un discorso che abbiamo già fatto: se tu chiami una serie “L’esorcista”, sapendo benissimo che quella parola scatena negli spettatori il concetto di “eccezionale storia horror”, poi devi anche essere conscio che finirai con l’alzare le aspettative, suggerendo al tuo pubblico che stanno per vedere qualcosa di dirompente, come lo fu il film originale.
Manco a farlo apposta, The Exorcist dirompente non è. Essendo la storia conosciutissima e assai collaudata, il pilot diretto da Rupert Wyatt (L’alba del pianeta delle scimmie) e scritto da Jeremy Slater (The Lazarus Effect) ha buon gioco a costruire un meccanismo tutto sommato funzionante, che scorre via in maniera precisa e comprensibile, con l’aggiunta di qualche momento effettivamente inquietante. Buona anche l’idea, non necessariamente scontata, di spalmare l’intera storia originale su una serie in più episodi, costruendo dunque una narrativa orizzontale di più ampio respiro invece di prendere spunto dal libro di Blatty per montarci sopra una struttura verticale da “esorcismo della settimana”.

The Exorcist (4)

Allo stesso tempo, però, il pilot finge che non sia accaduto niente, filmicamente parlando, fra la sua nascita e il film originale. C’è stata troppa roba in mezzo, troppi horror buoni e meno buoni, perché la messa in scena di questo The Exorcist non ci risulti inevitabilmente ordinaria. Va bene, il rumore secco del collo spezzato del bambino è forte, funziona, ma è una scena, un singolo elemento in un intero episodio che, nel complesso, non stupisce e non emoziona particolarmente.
Per me la controprova sta nel fatto che sto scrivendo questa recensione a distanza di quattro giorni dalla visione dell’episodio, e mi rendo conto che se non mi fossi preso qualche appunto non mi ricorderei niente. È un pilot che, seppure non mi abbia causato reazioni allergiche, allo stesso tempo non mi ha lasciato dentro alcunché, andando a sommarsi a un elenco ormai troppo lungo di ricicci televisivi di cui comprendiamo sempre meno il significato.
Peraltro, in questo caso pure gli ascolti sono stati bassi, quindi almeno per una volta mi trovo concorde col pubblico americano, cosa che mi dà una certa serenità d’animo.

Ah, nel cast ci sono anche Geena Davis, l’Alfonso Herrera visto in Sense8, il Ben Daniels apprezzato di recente in Flesh and Bone. Però boh, ve lo dico così, per obbligo cronachistico, il mio interesse si sta sempre più spegnendo…

Perché seguire The Exorcist: se siete patitissimi del genere, tipo che non ve ne perdete uno, The Exorcist si inserisce nel flusso risultando comunque meglio di altri.
Perché mollare The Exorcist: per l’ennesima volta, siamo di fronte a un remake che non ha assolutamente nulla da aggiungere all’originale. E allora perché?

PS: pensavo di aver finito con i remake, e invece mo’ devo guardare Van Helsing.
Gesù, non se ne esce…

The Exorcist (9)



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