MacGyver: basta, basta, basta remake. O meglio: basta remake osceni. di Diego Castelli
Perché ci fate del male così?
Sarà capitato a tutti, almeno una volta in questi anni, di dire “ebbasta con sti remake”. Una reazione abbastanza naturale quando, andando al cinema, trovi solo il nono capitolo di Transorfmers, il quattordicesimo di Fast & Furious, e l’ennesimo reboot di Spider-Man, in cui le ultime parole dello zio Ben sono “da un grande potere derivano grandi responsabilità, e per cortesia segnatelo su un post-it perché ne avrei piene le palle di crepare ogni volta”.
Passata la frustrazione del momento, però, è anche possibile rendersi conto che in effetti noi continuiamo a goderci un sacco di remake (tipo Shameless) e ne aspettiamo con ansia degli altri (tipo Westworld). Più in generale, qui a Serial Minds riconosciamo e accettiamo la ricorsività dei racconti, il continuo rimasticamento delle idee, la possibilità che una storia possa meritare anche più di un’incarnazione, se lo stile e la creatività di chi la mette in scena giustifica l’operazione.
Eccola qui, dunque, la linea di confine. Perché c’è una profonda differenza fra raccontare di nuovo una storia già conosciuta, aggiornandone stili, espressioni e messaggi, e semplicemente fare un replicozzo basato sul fatto che non si ha la forza o la voglia di proporre qualcosa di nuovo.
Purtroppo la recente serialità americana, pur piena di capolavori, è altrettanto colma di goffi tentativi di recuperare vecchi franchise che hanno fatto la Storia della tv, ma che dovrebbero appunto rimanere dove sono, nella Storia.
Ai primi esempi che vengono in mente, da Charlie’s Angels a Knight Rider, ora bisogna aggiungere anche MacGyver, e onestamente la puzza di ciofeca si sentiva già mesi fa, all’uscita del primo trailer.
MacGyver, l’originale, era una serie profondamente anni Ottanta. Nel tono un po’ scolastico, nelle pettinature di Richard Dean Anderson, nella sigletta che sembrava l’inno nazionale di un regime sudamericano. Ed era una bella serie, che bene o male abbiamo guardato tutti, chi facendo colazione o mentre la mamma stirava le camicie. E proprio perché MacGyver è una serie così profondamente anni Ottanta, nessuno sentiva il bisogno di un remake che l’aggiornasse, ci piaceva proprio perché stava là, nella nostra infanzia. E invece CBS s’è impuntata e ha detto “No, mo’ vi beccate la nuova MacGyver“.
E va bene, sbuffiamo, ma cerchiamo di mantenere la mente aperta: se sarà gagliarda, lo riconosceremo.
Ecco, MacGyver non è gagliarda. Anzi, sbaglia quasi tutto quello che può sbagliare.
Creata fra gli altri da Lee David Zlotoff, padre della serie originale che da allora non aveva fatto quasi più niente (e magari un motivo ci sarà) la nuova MacGyver cerca di prendere il cuore della serie madre (cioè un agente esperto nell’arte di arrangiarsi) aggiornandolo ai ritmi e agli stili della contemporaneità. Il risultato però è un pacchiano tradimento del tono originale, con il nuovo protagonista trasformato in una specie di 007 arrogante che non può passare un minuto senza farci sapere in maniera clamorosamente esplicita che lui è il più figo di tutti.
Mentre il MacGyver di trent’anni fa era un uomo buono e pacato, che avrebbe voluto la pace nel mondo ma, nell’attesa, usava la sua esperienza e le sue conoscenze per uscire dalle situazioni più complicate, il nuovo ragazzino sbruffone ha un bisogno estremo di mettersi sotto la luce dei riflettori, rendendo l’improvvisazione non una risorsa ultima in caso di emergenza, bensì uno stile di vita. Il risultato, alquanto goffo, è un tizio che per far partire un allarme antincendio mette su uno spettacolino da piccolo chimico quando bastava un accendino avvicinato al sensore antifumo.
Aiutato da due spalle, il rude Jack Dalton (George Eads) e la bella Nikki (Tracy Spiridakos, che in reatà prende una strada diversa già nel pilot), il nuovo MacGyver affronta con spocchia e capelli luminosi le sfide tipiche degli agenti segreti, snocciolando continue battute ad effetto che, per quantità e qualità, di effetto ne sortiscono poco, se non quello di rendercelo subito mortalmente antipatico.
La sceneggiatura di MacGyver è chiaramente un problema, non crea particolare interesse, risolve situazioni complicate con eccessiva fretta, e dissemina una quantità enorme di citazioni e rimandi (il missile in spalla, la sigla molto simile, l’ossessione per il coltellino svizzero), dimenticandosi però il tono che aveva fatto la fortuna dello show originale.
Anche qui, però, potrebbe sorgere il rischio di essere troppo duri, di fare troppi paragoni con una serie di trent’anni fa. In più occasioni ho predicato la necessità di valutare ogni prodotto per quello che è, e ora non posso razzolare male.
Il problema, però, è che MacGyver è proprio brutta di suo, e lo si vede da mille piccoli dettagli. Per esempio dal modo in cui viene messa in scena l’arte di arrangiarsi del protagonista: un paio di spiegoni sui suoi esperimenti da terza media, e tutto il resto viene affidato ad alcune scritte in sovraimpressione che hanno l’unico scopo di sembrare fighe, senza esserlo. Tipo quando l’eroe deve intervenire sulla meccanica di un aereo, e a schermo compaiono le etichette che identificano i vari componenti: una cosa priva di qualunque appeal, visto che non spiega nulla allo spettatore (che magari sarebbe pure interessato a qualche dettaglio tecnico) e al massimo fa sembrare il protagonista un tossico con problemi di allucinazioni.
E nemmeno parliamo di quando MacGyver trova la bomba che stava cercando in una stanza in cui l’ordigno è su un piedistallo in mezzo ai riflettori. Oppure dei soliti, fastidiosissimi italiani che evidentemente italiani non sono. Queste sono le boiate anni Ottanta che dovevate aggiornare, mica l’indole buona e altruista dell’eroe.
Ma al netto della goffaggine specifica di questa nuova incarnazione, che sembra il tentativo di CBS di intercettare un pubblico più giovane senza però perdere quello più anziano a cui è abituata, c’è un problema strategico più generale, che ritorna alla questione del remake.
Se tu produci una serie che ha molto in comune con MacGyver, ma non si chiama “MacGyver”, la scoperta di quelle somiglianze può diventare un punto d’onore, la scusa per un sorriso furbo e una tirata di gomito. In fondo è quello che ha fatto Netflix con Stranger Things, offrendo un franchise a tutti gli effetti nuovo, ma che in fondo nuovo non è.
Se invece tu giri una serie che si chiama “MacGyver”, allora stai usando a tuo rischio e pericolo un marchio preciso e riconoscibile. Se quello che poi vedo sullo schermo non è MacGyver, ma il cugino sbruffone che in realtà vorrebbe essere James Bond, allora significa che hai usato quel marchio per attirarmi fino a qui e poi offrirmi qualcosa di diverso e per giunta peggiore. Un po’ come come successo al cinema con Civil War, che della Civil War dei fumetti non aveva nulla e avrebbe dovuto chiamarsi “Steve e Tony litigano”. E questa non te la posso perdonare, perché un conto è essere di mente aperta, e un conto è farsi prendere per il culo come se niente fosse.
Perché seguire MacGyver: perché avete uno strano fecitismo per le serie inutili e i protagonisti antipatici.
Perché mollare MacGyver: perché è scritta male e messa in scena peggio, e soprattutto perché, nel tentativo di aggiornare il vecchio franchise, non fa altro che tradirlo.