Designated Survivor: finalmente Jack Ba… Kiefer Sutherland presidente! di Diego Castelli
Prima li proteggeva, ora è uno di loro
Devo ammettere che, nonostante l’amore per The West Wing che in un episodio ne aveva effettivamente parlato, mi ero dimenticato cosa fosse un “designated survivor”, cioè un sopravvissuto designato. In pratica sono funzionari di governo che quando il Presidente e le più alte cariche dello Stato si ritrovano in un luogo specifico, tipo in occasione dello Stato dell’Unione, stanno in un posto segreto e lontano dall’evento: metti caso che una catastrofe spazza via il governo (come un attentato che distrugge il Campidoglio), loro devono essere pronti a prenderne le redini per garantire stabilità al Paese.
L’idea di basare una serie tv su questo concetto mi pare così limpidamente figa, che mi stupisco molto del fatto che Designated Survivor sia arrivata solo ora, con alle spalle giusto il suddetto episodio di The West Wing e un tv movie di HBO del ’91.
All’interesse per il concept, come ben sappiamo, si è poi aggiunto qualcos’altro: protagonista del nuovo drama di ABC è nientemeno che Kiefer Sutherland, che dopo una vita passata a proteggere i presidenti nei panni di Jack Bauer in 24, finalmente è entrato alla Casa Bianca della porta principale. Certo, il Tom Kirkman di Designated Survivor non c’entra nulla con Jack Bauer, ma sapete come sono i serialminder, non possono fare a meno di fare collegamenti, emozionarsi coi dettagli, crogiolarsi nel ricordo.
Vabbè insomma, ma è un bel pilot o no? Sì lo è. Magari non eccezionale, ma comunque buono, perché si pone obiettivi precisi e non sproporzionati (banalmente, vuole tenervi sulla corda per quaranta minuti) e li raggiunge in discreta scioltezza.
Gli autori capitanati da David Guggenheim (all’esordio seriale dopo un paio di buone sceneggiature cinematografiche come Safe House) sanno di avere fra le mani un concept adattissimo alla creazione di un senso di oppressione e urgenza, e non si fanno scrupoli a usare tutte le tecniche più classiche e collaudate del genere per tenere vivo l’interesse dello spettatore.
Manuale alla mano, tutti i pezzi del puzzle vanno al loro posto, dall’eroe reticente che affronta con coraggio e senso del dovere una situazione anomala e non richiesta, alla minaccia di un nemico invisibile e insidioso (così attuale in questi anni), passando per la giusta dose di intrighi e sotterfugi in casa propria, visto che un funzionario pacifista messo a capo della nazione fa rabbrividire il classico generalone guerrafondaio che non vede l’ora di sparare missili nucleari dove capita. Dialoghi secchi e battute ad effetto completano un quadro che punta all’efficacia e all’immediatezza, calando lo spettatore in un contesto fatto di decisioni rapide e difficili, e minacce tutt’altro che concluse.
Ecco, diciamo che questa precisione può perfino risultare eccessiva, visto che alcune scelte e sottolineature arrivano a suonare un po’ pacchiane, come l’ovvia indole ribelle-ma-tenera del figlio di Tom, o l’insistenza di certi flashback che vogliono imprimerci ben bene nella testa il concetto che il protagonista è un uomo buono, onesto e leale che proprio per questo stava per essere lasciato ai margini della politica.
Allo stesso tempo, questo didascalismo può essere una strategia vincente, come lo era quella che costruì a suo tempo il Jack Bauer di 24: all’epoca, poco dopo l’11 settembre, la tv propose un eroe tutto d’un pezzo, che univa la forza fisica e la spregiudicatezza dei vecchi machi anni Ottanta con un surplus di introspezione e sofferenza indispensabile per un eroe moderno; oggi, con Designated Survivor, la tv americana usa lo stesso attore per offrire un eroe più esplicitamente politico, che incarni un’immagine di ragionevolezza ed empatia in un momento storico assai particolare, dove a scontrarsi per la Casa Bianca ci sono un riccone razzista e pazzoide e una tizia simpatica come una scudisciata, gravata da alcune ombre inquietanti.
In questo senso, Tom Kirkman si offre alla platea televisiva come il candidato ideale che manca nella realtà, quello giudizioso e irreprensibile, maschio ma non macho, umile ma non arrendevole. Possiamo considerarla un’operazione assai retorica, ma quando la retorica funziona bisogna pure dargliene atto.
In tutto questo, la scelta di Kiefer Sutherland si rivela azzeccata proprio per l’unione fra le specifiche qualità dell’attore (ormai maestro di questi caratteri ad alto tasso di intensità e carisma, buttati in mezzo alle tragedie e alle difficoltà della vita) e il suo passato seriale, che comunque la si metta non è dimenticabile: per quanto non ci sia alcun collegamento reale fra le due serie e i due personaggi, è impossibile non fare il collegamento visivo con Jack Bauer, ottenendo così un presidente che ha nel suo passato (un appassato finto, esistente solo nel nostro cervello) un eroismo più militaresco che potrebbe anche tornare utile a un certo punto.
In palla anche il resto del cast, a partire da Natascha McElhone che smette i panni della musa di Hank Moody in Californication e diventa una first lady battagliera e pronta a tutto. Si rivede anche Kal Penn, che a suo tempo lasciò House MD per andare a lavorare alla campagna di Obama e ora torna a servire un altro presidente, questa volta per gioco, nei panni di uno scrittore di discorsi senza peli sulla lingua subito ingaggiato da un Tom Kirkman in cerca collaboratori onesti e trasparenti (ve l’ho detto che può essere didascalico).
Se vogliamo trovare un problema vero, per lo meno potenziale, è nella tenuta. Designated Survivor parte forte, e con quel concept non potrebbe essere altrimenti, ma resta da capire quanto la serie saprà mantenere il suo ritmo e la sua tensione anche sul medio-lungo periodo. È vero che la minaccia terroristica ancora in essere e i nemici interni all’amministrazione dovrebbero garantire abbastanza materiale per non sconfinare in un noioso political drama, ma è altrettanto vero che il Campidoglio non può esplodere in ogni puntata (per quanto sarebbe piuttosto curioso), quindi la tensione andrà costruita e alimentata settimana per settimana, in modo da restare dalle parti di Homeland piuttosto che da quelle di Madame Secretary, per le quali Kiefer Sutherland non sarebbe molto indicato.
Perché seguire Designated Survivor: il pilot è semplice ma funziona, e Kiefer Sutherland nei pressi della Casa Bianca si guarda sempre volentieri.
Perché mollare Designated Survivor: per l’approccio fin troppo scolastico alla costruzione dei personaggi e della tensione, ma soprattutto per il timore che fra quattro o cinque puntate abbia perso tanta parte della spinta iniziale.