Secret City – Il ritorno di Anna Torv dopo Fringe di Marco Villa
Complotti e tradimenti, per una spy story in sei puntate che promette bene
Correva l’anno 2010. Il sottoscritto e il Castelli iniziavano a mettere online i primi timidi pezzi di Serial Minds, consapevoli che, pur nella diversità di opinioni su tantissimi titoli, erano sicuri di essere sempre d’accordo sulla bontà di due serie. La prima era Community, la seconda Fringe. Sei anni e circa 2800 post dopo, siamo ancora convinti di quelle due scelte e per questo continuiamo ad avere un grandissimo trasporto per tutti i loro interpreti. Tanti li abbiamo seguiti in altre serie, ma di una avevamo completamente perso le tracce: Anna Torv, ovvero la tostissima Olivia Dunham di Fringe, colei che lotta con Lena per la palma di nostra Dunham preferita. Dopo anni di semicazzeggio e prima di tornare protagonista con Mindhunter su Netflix (2017), la nostra amica Anna ci ha fatto una sorpresa: è tornata a casa in Australia e si è calata nei panni di una giornalista in Secret City. E noi ne siamo molto contenti.
Secret City è una serie in sei parti andata in onda lo scorso giugno sul canale pay australiano Showcase. Dovessimo definirla con una sola parola, quella parola sarebbe GOMBLODDO! Anna Torv interpreta infatti Harriet, giornalista politica che, tra un allenamento di canottaggio e una scopatina con uno studente universitario, si trova a scoprire quasi per caso una cospirazione politica che sembra collegare un ministro australiano e l’intelligence cinese, sullo sfondo di ricatti e ipotesi di tradimento. La storia, insomma, è quella del classico film sulla forza del giornalismo e della buona informazione, una trama che allo stato attuale sembra pura fantascienza.
Il concept, quindi, non è certo rivoluzionario, ma nel pilot doppio il racconto viene portato avanti bene: nei 90 minuti iniziali si mettono in campo tutti i personaggi e gli intrighi, riuscendo a trovare il giusto passo narrativo e senza eccedere in complicazioni poco funzionali, con la sola eccezione della vicenda personale dell’ex marito della protagonista che vabbè. Il motore principale e l’inchiesta di Harriet, ma da questa storyline discendono molte altre sottotrame in apparenza indipendenti, ma che finiranno per convergere nello stesso quadro generale del complottone di cui sopra.
Dovendo fare dei nomi, non si può non citare una Homeland, per quanto qui il tasso di tensione sia nettamente più basso e una piccola perla ormai semidimenticata che risponde al nome di Rubicon (consiglio spassionato: recuperatela in qualche modo, per quanto finisca vergognosamente tronca). Si tratta di due titoli che sono senza dubbio tra i migliori degli ultimi dieci anni nel genere spy: Secret City si pone un po’ a metà per concezioni, tenendosi allo stesso tempo piuttosto distaccata in quanto a livello qualitativo.
Una buona serie, insomma, che dopo i primi due episodi sembra in grado di reggere il peso di tutte le storiacce che sta andando a raccontare. Sei episodi volano e potrebbero essere il giusto ponte prima del delirio di pilot del prossimo mese.
Perché seguirla: perché i complotti spaccano sempre e perché Anna Torv è nei nostri cuori
Perché mollarla: perché se iniziate a seguire anche le serie australiane non ne uscite vivi