The Five – Un crime inglese che lascia un po’ perplessi di Marco Villa
Perché la semplicità paga sempre più dell’accumulo
Come avere una storia bella, semplice, lineare e anche affascinante e decidere di incasinare tutto oltre quello che qualsiasi logica consiglierebbe. Un po’ come quando ti stai facendo un simpatico panino e non resisti e butti dentro tutto quello che c’è nel frigo, compreso quel mezzo tubetto di senape che hai comprato quando ancora usavi il Topexan e che renderà il gusto più simile a quello del sapone di marsiglia che a quello di un sacrosanto panino.
Ecco, The Five, andata in onda tra aprile e maggio su Sky 1 England, è proprio così. Parte benissimo e poi si perde già nel corso del primo episodio, diventando di fatto irritante nel secondo. La storia è presto detta: quattro adolescenti stanno facendo un giro nel bosco con il fratello di uno di loro, che ha una decina di anni in meno. Un bambino di 4-5 anni che impedirebbe loro di fare le cose “da grandi”, motivo per cui lo rispediscono a casa, da solo, in mezzo al bosco. Peccato che il bambino non arriverà mai a casa: puff. Mai più trovato e nessuno sa niente di lui, fino a quando vent’anni dopo il suo dna salta fuori in un’indagine di omicidio e non come vittima, ma come possibile assassino. Così i fantasmi di vent’anni di sensi di colpa tornano con prepotenza, mandando in crisi tutti. Perché da una parte c’è la gioia di poter riabbracciare il fratello e amichetto perduto, nonostante un pedofilo abbia confessato di averlo ucciso, dall’altra c’è la consapevolezza che il ragazzino possa essere diventato un assassino spietato. Mica male.
Eh, mica male no, peccato che su questa trama già valida arrivino altri elementi che vanno a turbare la situazione. Uno dei quattro amici, infatti, gestisce un centro di aiuto per giovini disagiati e per questo motivo si imbatte in una ragazza scappata da un sequestratore-seviziatore. E decide di salvarla, ovviamente, ma anche di iniziare a indagare con i suoi amichetti su cosa sia successo alla ragazza, evitando di andare alla polizia “per proteggerla”. Ora, se c’è una cosa che io non sopporto è quando serie, film o libri o tavolette di cera mettono personaggi in situazioni del tutto insensate o paradossali, senza motivarle. Mi spiego: qual è il senso di dare a personaggi che non c’entrano nulla con delle indagini il compito di risolvere un mistero, senza che ci sia una motivazione stringente? Nessuno, un po’ come accaduto secoli fa in Studio 60, quando Aaron Sorkin decise che era del tutto legittimo raccontare di come da Los Angeles un gruppo di comici cercasse di far liberare via telefono un marine tenuto in ostaggio in Afghanistan. Ma poi c’è di più, perché il pilot si chiude con il buon samaritano del centro che va a compiere un omicidio a domicilio con tanto di silenziatore, come a suggerire che si tratti di un sicario fatto e finito. Questi sono solo gli aspetti più evidenti di una accumulazione di trame laterali che sembrano sfuggire al controllo già mezz’ora dopo aver schiacciato il tasto play.
Andando così a rovinare quella che poteva essere una bella storia, nella sua semplicità. La pulizia delle trame finora è sempre stata una grande caratteristica positiva delle serie inglesi, da sempre più minimali e trattenute di quelle statunitensi. The Five è un grosso cambio in questo senso: non è detto che si tratti di una serie brutta, di fatto può riprendersi senza problemi, ma difficilmente potrà non essere pasticciata. E gli inglesi ci hanno abituato a uno stile assoluto e quasi rigoroso.
Perché seguirla: perché il plot di base è interessante e nel pilot di sicuro non si butta via del tutto
Perché mollarla: perché è davvero pasticciata e pure con un inspiegabile mezzo salto dello squalo