Animal Kingdom – Surfisti zarri e criminali di Marco Villa
Perché d’estate siamo tutti più zarri, non c’è niente da fare
In estate siamo tutti più zarri. Inutile che fai quella faccia lì, lo so che anche tu ti metti le infradito e ti ritrovi a fischiettare canzoni orrende che normalmente schiferesti come se fossero portatrici di malattie veneree. Questa zarrìa incontrollabile si estende per forza di cose a tutti gli ambiti della nostra vita sociale e multimediale, quindi anche a film e serie. Del resto, c’è un motivo se l’estate è il periodo in cui finiamo a vedere horror e robe disimpegnate: vi immaginate guardare True Detective con 34 gradi? Al terzo monologo di Matthew McConaughey saremmo già collassati con la bava alla bocca. Quei volponi dei network lo sanno e allora appena la temperatura ci buttano addosso prodotti che, esattamente come la canzone di cui sopra, a novembre schiveremmo con l’abilità di un ballerino di tango, ma che ora accogliamo a braccia aperte.
Come avrete intuito in modo assai brillante, Animal Kingdom è una serie zarra, una di quelle non si va tanto per il sottile, non certo destinata all’olimpo delle serie immortali, ma non per questo disprezzabile. In onda dal 14 giugno su TNT e ispirata all’omonimo film australiano del 2014 di David Michod (già regista del pilot di Flesh and Bone), Animal Kingdom racconta la storia di un teenager che resta orfano dopo la morte per overdose della madre: ritrovatosi di colpo solo, chiama la nonna, che non sente da tempo. Tutto normale, non fosse che la nonna è la matriarca di una famiglia criminale, i tre zii sono dei surfisti rapinatori e il quarto zio è un mezzo squilibrato appena uscito dal carcere.
Lo sfondo è chiaro: il giovane J studioso e bravo ragazzo, che si ritrova catapultato in mezzo a gente che rapina e vive nel losco. Il povero in mezzo ai ricchi, con una nonna milfona che tutto è tranne che materna e con degli zii con il QI di topolini poco svegli e testosterone che esonda da ogni poro. Sì, perché sono surfisti, motociclisti e guidatori di jeep sportive. Mica cazzi.
Scordatevi ovviamente qualsiasi approfondimento psicologico: le relazioni sono ridotte all’osso, così come la complessità della psiche dei protagonisti. Il giovane rampollo è il più sensibile di tutti, ma gli altri si muovono con la delicatezza di un orango in un negozio Swarovski. Ma non è questo il punto: quello che conterà in Animal Kingdom sarà il modo in cui J riuscirà a integrarsi nella famiglia, con il grosso dubbio della possibilità che a un certo punto scelga la strada della bontà e dei giusti valori, magari tradendo la nuova famiglia. Capito il gioco?
Dalla prima riga avrete intuito che non si può considerare Animal Kingdom chissà quale capolavoro: è un riempitivo per l’estate, magari anche un buon riempitivo con possibilità di crescita, ma difficilmente diventerà la serie che andrete a consigliare a tutti bevendo un’Ichnusa al tramonto.
Perché seguirla: perché d’estate siamo tutti un po’ più zarri
Perché mollarla: perché non andiamo molto più in là del riempitivo