Bates Motel 4: il finale della miglior stagione di Diego Castelli
Il momento della verità
SPOILER SU TUTTA LA STAGIONE!
Bates Motel è una serie sottovalutata. Non nel senso che non ne parlano abbastanza bene, bensì nel senso che non se ne parla abbastanza.
La quarta stagione appena conclusa, l’ultima prima di una quinta stagione finale già confermata, è stata probabilmente al migliore finora, e ha piantato puntelli narrativi che sapevamo sarebbero prima o poi arrivati, ma che non ci aspettavamo così presto (il che vuol dire sorprenderci con cose che sappiamo già, ebbravi!).
Su alcune dinamiche specifiche della serie, sulla sua divisione fra le vicende fra Norman, la madre vera e la madre finta da una parte, e le sottostorie legate ai personaggi secondari dall’altra, abbiamo già parlato in passato, quindi per non ripetermi vi chiedo lo sforzo, se vi va, di cliccare questo link.
Quello di cui vale la pena parlare oggi, un paio di giorni dopo il season finale, è la forza montante con cui la serie è arrivata alle sue inevitabili conseguenze, alla morte di Norma e alla definitiva trasformazione di suo figlio nel “mostro” che abbiamo conosciuto nel romanzo e soprattutto nel film di Alfred Hitchcok.
Poi qui si potrebbero aprire le solite parentesi sui cambiamenti fra le trasposizioni, sulla fedeltà o meno al materiale originale, ma di questo argomento ne ho un po’ piene le balle, quindi lo saltiamo, ricordando solo che, nel caso di Bates Motel, la conoscenza vaghissima di quello che è il mito di Norman Bates è comunque importante proprio per la costruzione della tensione e per la comprensione di certe scelte di posizionamento degli eventi. Comunque non serve molto, basta sapere, cosa che bene o male sanno tutti, che Norman Bates era un assassino che si teneva la madre impagliata in cantina. Da lì in poi è tutta discesa.
Questa quarta stagione non è stata “perfetta”, nel senso di avere tutti ma proprio tutti gli elementi al posto giusto, senza sbavature. In particolare, alcuni di quei personaggi secondari di cui si parlava prima sono progressivamente spariti dal radar, perdendo un’importanza che in passato era parsa decisiva ma che poi si è rivelata abbastanza effimera, per quanto abbia avuto il suo ruolo nell’evoluzione del personaggio di Norman (e mi riferisco in particolare al fratello Dylan e all’amica/spasimante Emma).
Eppure, nonostante sbavature o passaggi più frettolosi, non ci possiamo proprio lamentare di questi dieci episodi, che sono andati al cuore del mito di Norman Bates come mai prima d’ora.
Sollecitato dal rapporto sempre più stretto fra la madre e lo sceriffo, e stimolato a più riprese dalla permanenza in ospedale e dai colloqui con lo psicologo, il protagonista ha raggiunto il suo massimo potenziale, esplicitando la sua doppia personalità anche fuori dal rapporto finora esclusivo con gli spettatori, e arrivando all’ultimo climax, la morte della madre, che peraltro è arrivato addirittura nel penultimo episodio.
Supportati dalla recitazione eccezionale di Vera Farmiga e Freddie Highmore, sempre più bravo nell’offrire un Norman Bates costantemente in bilico fra la tenerezza del bambino, la rabbia dell’amante tradito, e la ferocia dello psicopatico, gli autori hanno continuato a scavare nella psicologia dei loro personaggi finché, zolla di terra dopo zolla di terra, non sono arrivati a una base di lacrime e sangue che ci ha tenuto col fiato sospeso fino all’ultimo.
Da una parte è una questione di scrittura: come si diceva all’inizio, la scelta di piazzare la morte di Norma non solo in questa stagione, ma addirittura nell’episodio precedente il finale, ha spiazzato molti spettatori che si aspettavano di vedere quella dipartita solo alla fine della serie. Un crescendo di tensione ottimamente gestito che ha messo insieme la caduta ormai inarrestabile della psiche di Norman con i tentativi di reazione da parte di Alex, rivelatosi incapace di mettersi davvero in mezzo al rapporto morboso e insano fra Norma e suo figlio e costretto a prendersi magre rivincite picchiando il ragazzo quando la donna amata era già morta.
Oltre alla scrittura però, bisogna parlare della messa in scena. In Bates Motel la componente visiva è più importante rispetto alla media dei drama televisivi, e se l’anno scorso era particolarmente significativo lo stacco anche cromatico fra la Norma reale e quella immaginata dal figlio, quest’anno (e soprattutto nel finale) entra in scena un vero e proprio macabro, che finora non avevamo visto con questa forza.
Dopo la morte della madre per mano sua, una madre verso la quale provava pulsioni erotiche che mettevano sapientemente a disagio negli spettatori, abbiamo visto Norman sviluppare un attaccamento morboso al suo cadavere. L’inquietantissima scena all’obitorio, e ancora di più la riesumazione del cadavere e il suo trasporto in casa, sono la cima di una montagna di suspense che abbiamo scalato settimana dopo settimana, fino a un finale che conoscevamo ma che non pensavamo ci avrebbe colpito in questo modo.
Quando Norman apre gli occhi della madre deceduta, sperando di trovare gli occhi furbi e affascinanti che conosceva e che aveva visto ancora all’obitorio, scopre invece i bulbi grigi tipici dei morti, rendendosi finalmente conto di quanto realmente accaduto (e io intanto ero lì a grattarmi la schiena percorsa dai brividi).
In realtà, però, proprio quella consapevolezza è la spinta finale che serve al protagonista per staccarsi dalla realtà: pur ammettendo candidamente davanti alle persone che la madre era passata a miglior vita, Norman continuava a vivere un’illusione parallela in cui sperava che fosse tutto un trucco, e che la madre fosse pronta a riabbracciarlo dopo aver preso in giro tutti.
Di fatto, quello a cui assistiamo è il tentativo di Norman di impazzire sul serio: dopo aver provato a guarire, sapendo che la guarigione l’avrebbe riavvicinato alla madre, dopo la morte di lei Norman si rende conto che deve intraprendere il percorso inverso, buttando a mare qualunque progresso fatto per abbracciare un mondo finto e immaginario, ma in cui la madre è ancora viva.
Gli scossoni che Norman rifila al corpo di Norma non sono dunque il tentativo di risvegliare un cadavere ormai freddo, quanto piuttosto colpi inferti alla propria psiche, nella speranza che il suo cervello possa scattare e dargli quello che desidera.
Ed effettivamente il cervello alla fine scatta: il corpo defunto della madre, ancora abbandonato sul divano, sparisce completamente dalla percezione di Norman, che invece ricomincia a vedere Norma viva e vegeta, bella e amorevole come mai prima.
Il percorso è concluso, la frittata è fatta.
La serie però non è finita: manca ancora una stagione, che per stessa ammissione del creatore Carlton Cuse sarà una rivisitazione degli eventi di Psycho. Una scelta tutto sommato coerente e apprezzabile: Bates Motel si era proposta di raccontare le origini di Norman Bates, e l’ha fatto. Ora non avrebbe senso aggiungere altri intermezzi, tanto vale raccontare di nuovo la storia che tutti conoscono aggiornandola alla narrazione seriale contemporanea, e poi finire in gloria nella consapevolezza di aver fatto un buon lavoro, magari chiudendo sulla riproposizione di quello vecchio primo piano passato alla storia del cinema, quello in cui Anthony Perkins, ormai smascherato e catturato, viveva comunque sereno la sua prigionia, cullato dalla sua doppia personalità. Credo che Highmore si sia guadagnato il diritto di citare quella scena e darci la sua versione di quell’ultima, inquietante faccia da matto.