12 Maggio 2016 6 commenti

The Good Wife Series Finale – Duro ma giusto di Chiara Longo

Qui lo zucchero non è di casa

Copertina, Necrologi, On Air

The Good Wife (3)

Questa settimana abbiamo salutato per sempre anche The Good Wife, la serie dei coniugi King che ci ha fatto palpitare per lunghi sette anni. Iniziamo col dire che è stata una stagione difficile da seguire, vessata da una programmazione altalenante, con lunghe pause tra una puntata e l’altra, spesso sacrificata nel palinsesto, tant’è che la prima puntata di questa stagione è andata in onda ad ottobre, quindi mi perdonerete se su qualche dettaglio potrei non essere accurata.
Tutta la stagione è andata all’incirca come avevamo predetto nella recensione di inizio stagione: Alicia, dopo lo scandalo politico che l’ha vista coinvolta, deve reinventarsi professionalmente e riabilitarsi socialmente, mentre sembra che stia per imbarcarsi in una grande storia d’amore. Sembra, vedremo dopo perché. Mai come in questa stagione i tre plot dell’azione, della realizzazione personale e delle relazioni con gli altri sono stati così in primo piano.

All’inizio c’è l’Alicia vincente, che in poco tempo dà il via a un suo studio con la collega Lucca Quinn, e nonostante le problematiche legate all’avere un ufficio in casa e agli incassi scarsi, diventa un avversario così temibile in tribunale che la Lockart/Agos/Lee non può che giocarsi l’ultima carta: riassumerla. E soprattutto Diane le offre un posto di prestigio, seduta al tavolo dei soci di uno studio tutto al femminile. Cary non può che arrendersi e per la prima volta lavorare per raggiungere il suo sogno (insegnare) e non quello di uno studio in cui, ormai è chiaro, non diventerà mai il capo. Persino David Lee deve cedere a questa avanzata delle valchirie: liberatosi del vecchio, che finalmente ha trovato un’altra ragione di vita nell’amore per Jackie, decide semplicemente di accettare lo stato delle cose, annegandolo in un mare di musica classica. All’inizio avevamo scritto che la linea narrativa dello studio era un po’ noiosa, e in effetti solo il rientro di Alicia ci ha dato un motivo per continuare a seguirla; ma anche gli autori non hanno saputo dargli il giusto appeal e un’attenzione nella scrittura degna di questa serie.

The Good Wife (2)

Un’altra ancora di salvezza sono stati i casi giuridici che si sono ripresi la loro bella fetta di scena. E sono stati tra i più appassionanti dell’intera serie: Chumhum/Google, il nostro rapporto con internet e con le recensioni online, capaci addirittura di dare il via a un caso di discriminazione razziale, la violazione della privacy, il diritto d’autore ai tempi di Youtube. Tantissima carne al fuoco ben scritta ma soprattutto talmente reale da invitarci davvero, nel nostro vero quotidiano, a porci delle domande su queste questioni.

Ancora una volta è lì che si svolge la metafora di The Good Wife, nei tribunali dove una corte potrebbe cambiare il proprio giudizio in base al gossip (la relazione tra Kurt McVeigh e l’esperta di balistica bionda) o dove i giudici possono semplicemente empatizzare con una parte piuttosto che con l’altra. Che è quello che ci troviamo a fare noi: basti pensare alla linea narrativa dell’amore nella vita di Alicia. Se per tutta la stagione abbiamo tifato per Jason, a un certo punto il richiamo della brava moglie stava quasi per convincerci a riprendere indietro Peter, che finora se ne era stato quatto quatto (sostanzialmente scomparendo per diverse puntate), senza pretese su Alicia e con una nuova e apprezzabile capacità di autoanalisi e controllo. Quando ormai tutto sembrava scritto, è arrivata l’ultima puntata a cambiare le carte in tavola.
La stagione è basata su una sostanziale unitarietà di luogo, con una predilezione per quelli chiusi (l’appartamento, in cui si svolgono intere puntate con un’impostazione molto teatrale delle varie porte che si aprono e da cui entrano i personaggi), e la scena di Alicia che guarda il suo appartamento vuoto è una premonizione di quello che sta per succedere.

The Good Wife (4)

Vale la pena spendere due parole sulla scrittura di questa puntata. Divisa a metà tra una parte onirica in cui ritroviamo un commovente Will, che spinge Alicia sul bordo del baratro, l’altra metà è invece concretissima, con i suoi continui capovolgimenti nelle udienze di Peter. Ed è qui che i coniugi King spiazzano: anziché far divorziare i Florrick, condannare Peter e mandare Alicia dritta dritta tra le prestanti braccia di Jason per l’happy ending, nel giro di 43 minuti le fanno perdere tutto. E Peter ne uscirà quasi pulito, e Jason sparirà per sempre, e Diane romperà qualsiasi legame con Alicia. Dritta nel baratro: lasciamo Alicia delusa, schiaffeggiata (letteralmente) e col cuore spezzato.

Mi sono chiesta a lungo perché scegliere di chiudere una serie così, apparentemente senza vincitori, con i cocci tra le mani. La risoluzione è probabilmente da ricercare in tre momenti chiave: il primo è quello del dettaglio sulla mano di Alicia che prende quella di Peter, con la fede e l’anello di fidanzamento in bella vista. Il secondo è speculare al primo: alla fine della conferenza stampa, Alicia non prende la mano di Peter, e per la prima volta mostra in pubblico la sua nuova indipendenza. Il terzo è la camminata a sguardo alto con cui si chiude la puntata: Alicia dovrà sì ricominciare da quell’appartamento lasciato vuoto qualche sequenza prima, ma come abbiamo già detto lei è una donna forte, che ha dovuto affrontare tutto questo diverse volte nella vita, ed è per l’ennesima volta pronta a ricominciare. Finalmente è libera da tutti i legami (e con una campagna elettorale già finanziata che l’aspetta). Un finale in linea con la personalità e l’educazione rigida di Alicia: non sarebbe stata credibile se se ne fosse andata in decapottabile all’avventura con Jason, Alicia è nata per fare quello che fa, per e con se stessa.

The Good Wife (5)

Una bella struttura circolare insomma, in cui Alicia ha dovuto rialzarsi, cadere e ancora rialzarsi. Certo, su altri aspetti la stagione è stata carente, per esempio sull’approfondimento di alcuni personaggi lasciati un po’ lì tipo Cary, David Lee e Eli, sempre più nevrotico; su alcune spalle comiche poco riuscite (la Tascioni faceva già ridere, perché replicarla in un marito matto che sparisce macchinosamente per far rientrare Diane in gara); nei discorsi di Lucca, che magicamente riesce a rimettere sempre la coppia Alicia-Jason sul binario giusto come un deus ex machina – get a life, Lucca!
Per quanto dai commenti dei fan si evinca una certa delusione, in realtà la serie è riuscita a mantenere la sua coerenza di fondo. Alicia Florrick non è mai stata un’eroina romantica, ma una sopravvissuta molto concreta e razionale, così come l’intera serie. Non riconoscere questo aspetto forse vuol dire non aver colto il disegno complessivo di The Good Wife, che contiene nel titolo il suo intero significato.

The Good Wife (1)



CORRELATI