Rush Hour diventa serie tv. Ma perché? di Francesco Martino
Se non hai idee datti all’uncinetto (con tutto il rispetto per l’uncinetto)
Quando avevo iniziato a scrivere su Serial Minds, il buon Castelli aveva pensato bene di attuare il più classico nonnismo, obbligandomi a recensire per un lungo periodo alcuni dei pilot più brutti mai trasmessi. Posso vantarmi di aver scritto di serie chiuse dopo un solo episodio, o di alcune di cui si sono misteriosamente perse le tracce, ma mai mi ero scontrato con tanta inutilità quanto quella vista in Rush Hour. Non che sia una serie brutta, perché dietro c’è anche uno sforzo produttivo non indifferente, con il coinvolgimento di nomi di un certo spessore come Bill Lawrence e Blake McCormick per lo script del pilot e Jon Turteltaub alla regia, ma il problema è tutto il resto. Tralasciando i dubbi sull’utilità di una versione televisiva della trilogia di Rush Hour (ormai sappiamo che le idee sono finite), il vero problema di questo pilot è la scelta infelice fatta in fase di casting, scegliendo due protagonisti privi di chimica e, forse, di talento.
Il primo è Justin Hires, attore di colore qui chiamato ad interpretare il ruolo che fu di Chris Tucker, ma troppo impegnato ad imitare per quaranta minuti lo stereotipo del nero al cinema, sembrando fin troppo spesso una brutta copia di Eddie Murphy. Aires ha anche una buona verve comica, testimoniata da una gavetta che vede partecipazioni anche in Key and Peele o in 21 Jump Street, ma qui sembra davvero poco ispirato. Insomma, non fa ridere.
La colpa forse è del suo compagno di squadra, Jon Foo, il Jackie Chan della situazione, l’attore che non augurerei di dirigere nemmeno al regista che odio di più. Non penso sia un caso che la sua pagina wikipedia sia piena di “stunt performer” sotto la voce filmografia. Foo sa come fare a botte, ma sicuramente non conosce il verbo recitare. Questa “piccola” mancanza è quella che senza dubbio affossa di più la serie, e non perché siamo pretenziosi e vogliamo solo Al Pacino nei telefilm, ma perché una delle qualità migliori di Jackie Chan, oltre ad aprire conti offshore, è senza dubbio quella di avere una comicità non indifferente, che unita alla sua abilità nelle arti marziali hanno creato un attore iconico per un certo tipo di pubblico. Sostituire una performance del genere con quella di uno che somiglia per tutto il tempo ad un manichino di H&M, non aiuta per niente una serie che già di suon non brilla.
Perché tolti i due attori, anche la storia che gli ruota intorno non è delle più esaltanti. C’è un tizio cinese molto cattivo che conosce le arti marziali e ha dei capelli ossigenati buffissimi, al servizio di un criminale ancora più grande e malvagio che non vi dirò chi è, sia per non fare spoiler, sia perché ci arriverete dopo due minuti di telefilm. C’è una sorella che diventa cattiva, e una serie di dubbi amletici sulla sua vera natura che vi doneranno un sonno sereno. Ah, e poi ci sono delle musiche esageratamente tamarre che partono ogni volta che inizia una scena d’azione (che in questo pilot sono riprese un po’ con i piedi).
Non so se sono stato troppo cattivo, ma non riesco davvero a salvare nulla di questo Rush Hour, un’operazione inutile e non necessaria portata sullo schermo in modo pigro e svogliato.
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