Please like me: una serie che non è perfetta, ma in fondo lo è di Francesca Plumari
Una serie australiana da recuperare
Please like me è una serie australiana creata da Josh Thomas, in onda dal 2013 sul canale ABC2 e in seguito negli Stati Uniti sul digital cable network Pivot. È già arrivata alla terza stagione (trasmessa nell’ottobre 2015) ed è la serie gioiellino che vi siete persi, ma un giorno, per caso, beccate un episodio e vi sentiti felici come i bambini la mattina di Natale. In alcuni casi è appropriato dire che chi trova una serie trova un tesoro. Questo è uno di quei casi.
Please like me è una richiesta, proprio quella del titolo. La trama della serie è completamente irrilevante: Josh (Josh Thomas), un ventenne australiano, convive col suo migliore amico, Tom (Thomas Ward nella vita vera) e viene scaricato dalla sua ragazza, che subito dopo averlo lasciato aggiunge: “Ah, comunque sei gay”. Da lì iniziano le sue avventure nel mondo omosessuale, la scoperta di se stesso, incontri romantici, situazioni imbarazzanti eccetera.
Josh è un ragazzo insopportabile, ha una faccia bizzarra, sembra un bambino di settant’anni oppure una versione teenager di Gordon Ramsay (battute che fa il protagonista stesso nel corso della serie), e ha una voce più fastidiosa dei bambini che piangono ininterrottamente su un volo di cinque ore; dunque vi chiede davvero uno sforzo per farvelo piacere. Però ne vale la pena. Please like me è quel ragazzo che incontrate una sera e a prima vista vi sembra solo un’idiota, ma poi cominciate a conoscerlo, diventate amici, e a un certo punto lo volete bene. Quindi dovete dargli tempo.
La prima stagione scorre velocissima, sei episodi da poco più di venti minuti ciascuno, e va benissimo perché oltre quelle due ore bisogna davvero sorvolare su tante cose per continuare a guardarla. Però dalla seconda stagione in poi siete felici di aver resistito e siete premiati per tutti i vostri sforzi. Con la stagione numero due Josh cresce e con lui la serie, che passa a dieci puntate e si prepara a diventare semplicemente deliziosa con la terza stagione. Al momento non ci sono certezze su una quarta stagione, ma che la serie continui oppure no, in fondo non importa. Come ogni cosa bella, è giusto che finisca. Le serie fatte bene bisogna lasciarle andare, perché non possono continuare per sempre, altrimenti perderebbero lo status di gioiellini.
Tutto quello che ho scritto finora, però, per me è solo il background. In fondo, dietro la patina di commedia e ironia idiota c’è molto di più ed è la volontà di raccontare senza filtro la storia di un gruppo di ragazzi. Josh Thomas scrive una serie che ha grandi pregi, uno dei quali è riuscire ad essere originale. La storia sulla carta potrebbe sembrare scontata, ma i colpi di scena non mancano.
“Ok, adesso incontra il ragazzo super carino e parte la storia d’amore con annessi e connessi”, e invece no!
“Ah, adesso il padre si rimette con la madre, si vede che si amano ancora”, e invece no!
“Mmh, la ragazza bella, intelligente e simpatica si mette con l’amico nerd, che teneri” e ancora no!
Potrei andare avanti all’infinito, con grande soddisfazione.
Mi rendo conto che stiamo ancora parlando della trama che, come ho detto, è la cosa meno interessante. Andiamo al sodo. Please like me fa ridere. Ma non solo, ti mette proprio di buon umore.
Avete presente quando tornate a casa la sera, dopo una giornata di attività varie ed eventuali, non capite come sia possibile che siano già le 23.32, e avete bisogno di qualcosa di leggero che vi tiri su? Benissimo, Please like me è la vostra pillola. Quel ragazzo simpatico come un ciglio sulla palla dell’occhio, vi salverà la serata, la vita, tutto quello che volete, perché anche se vorreste solo prenderlo a sberle, dopo un paio d’ore gli vorrete bene. È un fenomeno strano, ma succede.
Un po’ come succede con Hannah in Girls: per me è da uccidere, è davvero detestabile, ma allo stesso tempo si fa volere bene. E questo, signori e signore, è il segreto del successo. Questo è quello che accade quando una sceneggiatura è scritta bene e funziona, è capace di creare personaggi tridimensionali che ci permettono di entrare in empatia e di rivedere noi stessi in quello che viene raccontato.
Il trend principale della caratterizzazione antropologica nel campo degli audiovisivi è da sempre l’archetipo: c’è l’eroe, il cattivo, la bella e a volte la bestia. Pian piano, grazie anche all’emergere di realtà diverse dal monopolizzante paradigma hollywoodiano, le cose per fortuna si sono complicate, e buono e cattivo sono diventati concetti più relativi che assoluti.
Quando guardiamo una serie in cui il protagonista è troppo buono, troppo bravo, troppo sfortunato o troppo fortunato, è difficile per chiunque rivedersi in quel personaggio standardizzato. E se da una parte ci può stare, perché è così che nascono gli idoli, i miti, le ambizioni, dall’altra si apre una finestra sulle illusioni e su quanto la realtà sia molto diversa. La vita non è un film, baby. E meno male, aggiungerei.
Rappresentare la brutale realtà non così com’è, badate bene, ma così come potrebbe essere, sta davvero un gradino più in alto. Però, c’è un però. Qui non siamo mica ai livelli di Girls di Lena Dunham, in Please like me l’aria è rilassata e Josh scoppia a ridere una parola sì e l’altra pure. Con molta intelligenza Thomas riesce anche ad infilare un discorso super serio e profondo quando meno ce l’aspettiamo, rigorosamente preceduto e seguito da una battuta o due, così da prenderci un po’ in giro. La serietà c’è, gli argomenti difficili ci sono eccome, ma è tutto armonioso e amalgamato in modo così sapiente che ci accorgiamo a mala pena di aver appena visto cosa vuol dire essere affetti da depressione, dover abortire, essere giovani in generale.
Non smetterò mai di sostenere i giovani emergenti che parlano della nostra generazione adesso, mentre ci siamo ancora dentro, facendolo con maestria e ingegno. Una delle prime serie a dare il via ad un’operazione simile, è stata la mitica Skins (2007), che ha messo nelle mani di un gruppo di giovanissimi talenti la sceneggiatura della serie, con tanto di rotazioni e rinnovo del personale ad ogni stagione, per dare spazio ad altri giovanissimi talenti. La dimostrazione che un ragazzo di talento non deve aspettare la veneranda età dei 50 anni per essere in grado di parlare di un fenomeno che riguarda il qui e ora. Penso a Xavier Dolan, il regista canadese prodigio, che mette a segno un film dopo l’altro, dimostrando che i ragazzi “senza esperienza” sono i più adatti a raccontare le storie che li riguardano e arrivare dritti al cuore dei ragazzi “senza esperienza” che li guardano. Senza esperienza non vuol dire senza esperienze di vita.
Non so come altro dirvi che Please like me è una serie da vedere e conservare nel cassettino dei tesori seriali, lì dove io ho messo Mozart in the Jungle, Girls, Misfits, Halt and Catch Fire: tutte quelle serie che non sono perfette, ma che in fondo lo sono.
Perché seguire Please like me: perché ogni volta che avrete un buco di venti minuti saprete cosa fare
Perché mollare Please like me: non lo so. Se trovate un buon motivo ditemelo. Anzi no, non ditemelo.