The Expanse season finale. Oh, una delle migliori novità dell’anno! di Diego Castelli
Confermate le buone sensazioni dell’esordio
OVVIAMENTE SPOILER SU TUTTA LA STAGIONE
Non c’era voluto molto per accorgersi che il pilot di The Expanse era superiore alla media, o per lo meno superiore alla media dei prodotti di SyFy. Era questione immediata, palese, qualcosa che aveva a che fare con la grana fotografica, con le luci, con la densità di una sceneggiatura e di un’ambientazione che non faceva sconti in nome dell’accessibilità, e buttava lo spettatore in un mondo che appariva da subito vivo e pulsante.
Oppure, banalmente, avevamo visto gli effetti speciali e NON avevamo detto “li facevo meglio io con paint”.
Dieci episodi dopo non solo The Expanse ha confermato le buone impressioni iniziali, ma ci ha lasciato con la sorprendente certezza di aver visto una delle migliori novità dell’anno. Merito della base letteraria, forse, che ha probabilmente lasciato una traccia migliore di una banale chiacchiera fra autori televisivi intorno a un tavolo, ma sarebbe ingeneroso dare tutto il merito a chi con la serie tv alla fine c’entra poco. Qui la questione è invece un’altra, e sta nel fatto che finalmente a SyFy hanno deciso di fare sul serio, come avevano fatto ai suoi tempi con Battlestar Galactica, senza mai tirare indietro la mano, buttandosi a capofitto in una sfida che nascondeva non poche insidie.
Uno degli elementi più interessanti di The Expanse, che dice molto sul “come” è stata concepita e sviluppata, sta nel fatto che non c’è quasi mai la ricerca ossessiva del sorpresone. Non c’è insomma la pistola puntata alla tempia degli sceneggiatori, obbligati a inserire almeno un paio di volte a puntata un momento che faccia saltare sulla sedia. La schiavitù del cliffhanger è uno dei trappoloni più pericolosi per le serie tv, che spesso sacrificano il buono sviluppo delle trame col solo scopo di creare qualche ansimo in più, credendo e sperando che quelle poche palpitazioni siano sufficienti a trattenere lo spettatore. A volte è anche vero, ma capita spesso che quegli stessi momenti teoricamente emozionanti, inseriti però in modo troppo forzato, finiscano col sembrare troppo piatti o addirittura ridicoli.
Ecco, The Expanse se ne frega di quest’ansia da prestazione. I dieci episodi della prima stagione costruiscono prima di tutto un mondo, un sistema solare fatto di complicati rapporti geopolitici fra la Terra, Marte, e i poveri sfigati della Cintura, che stanno nel mezzo a respirare aria filtrata male e aspettare lo scoppio di una guerra in cui sarebbero le prime vittime.
In questo contesto The Expanse costruisce un mistery-thriller in cui la tensione è spesso palpabile e non mancano le scene d’azione, ma in cui non conta tanto l’emozione del qui e ora, quanto piuttosto la soddisfazione di scoprire un universo articolato e palpitante.
Probabilmente The Expanse è una serie perfetta per i nerd. I nerd veri, quelli che se ne fregano nel singolo twist narrativo ma sbavano di fronte ai piccoli dettagli, al nome di questa e quella nave, ai rapporti fra la la tecnologia (immaginata) del Ventitreesimo Secolo e quella attuale. C’è una tale cura dei particolari, dagli abiti alle scenografie, dalle scene spaziali al linguaggio (ottimo il lavoro del linguista Nick Farmer, impegnato a crearen un linguaggio ibrido per i belters), che ogni episodio di The Expanse si tramuta da “intrattenimento televisivo” a finestra su un mondo che sembra esistere indipendentemente dallo spettatore.
Anche la difficoltà di accesso della serie, che se vogliamo è il suo più grande difetto in un’ottica di allargamento potenziale del pubblico, è in realtà uno strumento necessario alla creazione di quell’effetto. Guardare The Expanse, soprattutto nei primissimi episodi, può essere un’esperienza frustrante, e sicuramente qualche spettatore indeciso si sarà arreso di fronte alla miriade di nomi e personaggi. Allo stesso tempo, però, quella complessità era strutturata in modo tale da apparire coerente al proprio interno. Il problema (studiato a tavolino) non è dunque uno spettatore che fatica a star dietro alla vicenda perché la vicenda è scritta male; al contrario, la questione riguarda uno spettatore che fatica perché è un nuovo arrivato in un mondo che, ancora una volta, sembra esistere senza di lui. Il fascino parte dunque da qui, nel passaggio da semplici telespettatori a osservatori di una realtà simulata.
Questo ovviamente non significa che non ci siano ganci più semplici e di facile lettura. Lo scontro tripartito Terra-Marte-Cintura è comprensibilissimo come qualunque gioco di potere fra nazioni a cui siamo abituati nel nostor presente. E non c’è niente di particolarmente astruso nella vicenda di Holden e dei suoi (trovatisi a vagabondare impauriti dopo la distruzione della loro nave) o in quella di Miller, poliziotto solitamente pigro e scazzato che però si appassiona alla vicenda di una ragazza scomparsa.
Stesso discorso per lo sviluppo della trama mistery, in cui una cospirazione assai ramificata fa sembrare i nostri protagonisti niente più che piccole pedine, mentre intanto nel buio si allungano i tentacoli di un’arma biologica che sembra richiamare certe immagini da pianta carnivora del passato cinematografico più o meno recente.
Il plus però sta proprio negli spazi interni, negli angoli e negli interstizi. Non in una trama tutto sommato classica nelle sue componenti di base (comunque ben gestite), quanto in un’incredibile quantità di materiale visivo, narrativo e perfino linguistico che a quella struttura dà spessore e credibilità, partendo dal design delle varie navi e arrivando ai piccoli e grandi segreti che ogni personaggio sembra portare con sé.
Se accettiamo dunque che questa complessità è insieme il maggior pregio e potenzialmente il maggior ostacolo alla visione (ma siamo comunque pendenti verso il pregio, altrimenti dovremmo rifiutare qualunque serie che decida di diventare un po’ più tosta della media), l’unico altro difetto che mi sento di sottolineare sta nei dialoghi nudi e crudi. Gli scambi verbali di The Expanse avrebbero potuto avere una profondità da Game if Thrones, in cui ogni parola sembra avere almeno 2-3 significati. Invece qui, specie nei primi episodi, le parole dei protagonisti sono più che altro funzionali al progredire della trama, aggiungendo poco al piatto già ricco.
Sfumature, comunque, e non è detto che sia una scelta voluta proprio per non appesantire ulteriormente un prodotto già molto denso e per questo televisivamente più rischioso.
Quindi per noi è promozione piena, tanto più che Holden e Miller si sono incontrati solo alla fine, dandoci l’idea che, pur essendoci divertiti fino ad ora, non abbiamo ancora visto niente.
Brava SyFy, vedi che se ti impegni sei ancora capace? Sono certo che le ceffe che ti abbiamo tirato in questi ultimi due-tre anni ti sono servite, di’ la verità.
Tutto merito di Serial Minds…