Baskets: Louis CK e Zach Galifianakis per una comedy amara e deliziosa di Diego Castelli
Ci siamo innamorati subito, vediamo quanto dura
Il mondo delle serie tv è estremamente vario, ma talmente vario che due persone possono legittimamente sostenere di essere serialminder senza guardare una sola serie in comune. Drammi patinati, sitcom multicamera, prodotti d’autore, capolavori assoluti e inguardabili schifezze.
In questa grande varietà, noi abbiamo un’istintiva predilezione per quei prodotti piccoli piccoli, di cui magari nessuno parla, ma che una visti ti entrano nel cervello senza se e senza ma, prima ancora che tu abbia capito perché. E se vanno male, se fanno bassi ascolti, pure meglio: tutti noi ogni tanto abbiamo bisogno di sentirci un Don Chisciotte contro i mulini a vento.
Tutto questo è Baskets, nuova comedy di FX scritta niente meno che da Louis CK (che ve lo dico a fare), Zach Galifianakis (il non-più-paffuto protagonista di Una notte da leoni e Parto col folle), e Jonathan Krisel (co-creatore di Portlandia e regista di diversi episodi di Man Seeking Woman).
Protagonista è lo stesso Galifianakis, che in questi anni ha perso molto peso ma non ha rinunciato alla barba, diventando una specie di gnomo incazzato e vagamente imbarbonito. Baskets racconta di Chip Baskets (per l’appunto), un poveraccio proveniente da Bakersfield, profondo deserto californiano, che ha un unico sogno nella vita: diventare un clown.
All’inizio del pilot lo troviamo a Parigi, iscritto a una scuola per clown pagata coi soldi di mammà. Peccato che Chip non conosca una parola di francese.
Tornato in patria senza aver imparato sostanzialmente niente, Chip si ritrova a dover scendere a compromessi pur di portare avanti il suo sogno: riesce sì a trovare lavoro come clown, ma in un rodeo, diventando uno di quei pagliacci la cui unica vera funzione è farsi incornare dai tori per far ridacchiare il pubblico e magari finire su youtube.
Di Baskets mi sono innamorato dopo praticamente tre inquadrature. Galifianakis è nato per la comicità nonsense, per quel tono surreale che sembra trasformare ogni immagine nella parodia onirica di se stessa. E questo nonostante la vicenda di Chip sia in qualche modo serissima: Baskets – innamorato di una francese che l’ha sposato solo per il visto, sempre povero, incastrato fra una madre assurda (interpretata da un attore maschio, Louie Anderson) e un gemello effeminato che ha avuto molto più successo nella vita e ora lo tratta malissimo – è uno sfigato totale, un fallito, uno che non combinerà mai niente di importante. Incattivito col mondo, non senza ragione, Chip è scontroso e meschino e tratta male tutti. L’unica che sembra sopportarlo è Martha, agente assicurativo briosa come un tubero, che per qualche motivo lo prende in simpatia e diventa la sua amica del cuore, anche se ci tiene a sottolineare che non prova per lui alcun sentimento romantico né attrazione fisica.
Per quanto il tema del clown depresso sia un grande classico, nella costruzione di Baskets troviamo molte tematiche e atmosfere di Louie, che non loderemo mai abbastanza. Anche qui c’è un personaggio che vuole fare il “comico” ma viene spesso preso a sberle dalla vita, e anche qui c’è quel tono da film indipendente che non ha mai paura di prendersi il tempo per giocare con i silenzi o con immagini di vita assolutamente quotidiana.
A questo va aggiunto poi l’elemento geografico: mentre Louis CK ambienta la sua serie in una città come New York, sempre piena di possibilità e foriera di nuovi incontri e nuovi stimoli, in Baskets c’è il problema opposto. A Bakesfield non c’è niente, se non rodei sempre uguali gestiti da vecchi sdentati che di alta comicità francese non potranno mai capire una cippa. La vita di Baskets è dunque quella di un uomo dalle alte aspirazioni, abbruttite però in una landa desolata di polvere e nulla.
Siamo insomma nel calderone delle commedie pensate non per far “ridere”, ma per far “sorridere”, cogliendo il grottesco e il malinconico, scuotendo la testa di fronte alla follia dei personaggi ma compatendone anche la sfortuna, come se fossero piccoli ingranaggi di un meccanismo sbagliato.
Io l’ho amata subito, negli sguardi teneri che Martha riserva a Chip, nell’amore di sua madre, nelle batoste prese dalla francese, nell’attenzione posta alla poesia di certi dettagli come tutta la fase del trucco.
Intendiamoci, per ora Baskets è uno o anche due gradini sotto Louie. Troppo bidimensionale, per ora, troppo macchiettistica, per competere con la profondità delle riflessioni di Louie, che peraltro può farsi forte di un personaggio sfigato e sconfitto ma comunque “buono”, mentre Chip Baskets è volutamente dipinto come un gretto bastardo.
Allo stesso tempo, però, c’è tutto il tempo per creare maggiore spessore e per far evolvere i personaggi verso aree più complesse. Soprattutto, fin da ora c’è il fascino morboso di guardare un uomo sfortunato e, sottolineiamolo, del tutto privo di talento, nel suo instancabile tentativo di uscire dalla mediocrità. Se Chip è davvero un personaggio odioso – e lo è – a farcelo amare c’è questa folle e infinita determinazione nel raggiungere un obiettivo che sappiamo già essere irraggiungibile. Ma è proprio l’atto tragico (e ancora una volta donchisciottesco) di impegnare tutto se stessi in imprese impossibili, che alza il pover Chip dal monotono deserto del west per farlo diventare goffo simbolo e bizzarra fonte d’ispirazione.
Perché seguire Baskets: per il tono splendidamente surreale e malinconico e per la firma dei tre autori, che non sono proprio gli ultimi arrivati.
Perché mollare Baskets: vuole fortissimamente essere una comedy d’autore, con tutti i rischi del caso.