21 Gennaio 2016 20 commenti

Hannibal: i sette motivi per cui ancora non ci è passata di Diego Castelli

Qui c’è gente che stanno male!

Copertina, Olimpo, On Air

Nelle scorse settimane, in orbita Golden Globes, la maggior parte dei messaggi di lamentela che ci sono arrivati (che teneri che siete, come se noi avessimo potere di fare qualcosa!) chiedeva a gran voce delle nomination per Hannibal. Sarà la cancellazione prevista ma comuqnue improvvisa, sarà il segno indelebile lasciato nel cuoricino, fatto sta che ancora non c’è verso di farsi andare giù la scomparsa del Lecter dal palinsesto.
Come ultimo grido di dolore, e come ultimo consiglio per chi ancora se la fosse persa (la trovate tutta su Infinity, fra l’altro), ecco una bella lista con le sette cose che ci mancheranno di più di Hannibal. Ce ne sono anche altre, ma queste sono le nostre.

1.Hannibal masterchef che prepara i piatti
Diciamoci la verità: a guardare Hannobal viene fame. E il possibile straniamento derivante dal fatto di sentire un certo languore guardando un cannibale è del tutto voluto. Hannibal (la serie) e Hannibal (Lecter) hanno un rapporto insieme morboso e poetico con il cibo. Tutta l’anima folle e primitiva del cannibalismo viene sublimata nella precisione, nella delicatezza e nei colori dell’alta cucina, in cui una gamba umana viene lavorata a tal punto dal diventare un invitante cosciotto che i personaggi puntualmente si mangiano con gusto, perché se occhio non vede cuore non duole o, per dirla meglio, la nostra essenza più profonda se ne frega delle regole e si gode il buon sapore, da ovunque arrivi.

cucina

2.Quelle lunghissime conversazioni
Il rapporto fra Hannibal e Will è di gran lunga l’elemento più importante della serie, ben oltre la semplice ricerca e cattura dell’assassino di turno. Ogni volta che i due si trovavano di fronte, lo spettatore sapeva di stare per assistere a uno scambio quasi ipnotico, in cui due intelligenze sopraffine – ma entrambe devianti, danneggiate – avrebbero combattuto una battaglia di sussurri nel tentativo di penetrarsi reciprocamente. La metafora sessuale è casuale, ma insomma, neanche troppo!

dialogo

3.La strana angoscia pruriginosa di Bedelia
Pensandoci a mente fredda, di fatto Bedelia è la versione sconfitta di Will. Entrambi sono satelliti del pianeta-Hannibal, obbligati a orbitargli intorno, preda di una forza che li spingerebbe lontano ma incapaci di emanciparsi veramente. Se però Will riesce a mantenere (almeno in parte) la sua lucidità di investigatore, Bedelia finisce con l’essere solo un burattino nelle mani di Hannibal, in uno strano e affascinante rapporto in cui convivono il terrore più puro ma anche una sorta di invincibile venerazione. Gillian Anderson è perfetta per il ruolo, così sobria ed elegante da rendere ancora più significativa la sua invisibile discesa nell’abisso. Quasi quasi spero le sia rimasto qualche strascico di follia anche in X-Files. Così, per fare un crossover a caso!

gillian

4.Il cervo e in generale la fauna
All’inizio di Hannibal, quando Will vedeva il cervo mi veniva un po’ da ridere. Poi però il cornuto, nelle sue molte sfaccettature, è diventato una presenza indispensabile, l’immagine sempre scura, contorta e malata della mente di Will. Hannibal non sarebbe la stessa senza la rappresentazione smaccatamente pittorica dell’operato del protagonista e dell’effetto che esso ha sulla psiche del suo migliore amico/nemico.

cervo

5.La pronuncia strana di Mikkelsen
La sfida più grossa per Hannibal era una sola: reggere il confronto con Anthony Hopkins. Ce l’hanno fatta ingaggiando un attore danese che non ha avuto nemmeno bisogno di dire tante parole. Fisico imponente ma elegante, ben vestito, capello pettinato e modi da signore, un perfetto gentleman sporcato però da uno sguardo strano, storto, inquietante, come un maggiordomo che sia sempre sul punto di ammazzare i datori di lavoro. A restare impressa (spero per voi che l’abbiate visto in inglese) una pronuncia molto buona ma non perfetta, con quella boccuccia perennemente socchiusa a sputtacchiare fuori parole da antologia. Quasi buffo, a volte, almeno finché non ti mangia.

mikkelsen

6.Lo sguardo cucciolone di Hugh Dancy
Non è affatto scontato apprezzare il personaggio di Will. Non solo perché è incaricato di catturare Hannibal, che invece vorremmo veder scorazzare libero e selvaggio, ma perché è intriso di un invincibile vittimismo. Sempre scuro, sempre depresso, #mainagioia, Will è un detective che spesso vorresti vedere preso a ceffoni, così da svegliarlo un po’. Col passare del tempo, però, ci si rende conto non solo (o non tanto) che le capacità empatiche di Will sono ciò che lo rende un bravo detective E un depresso, ma anche che le sue fragilità sono il terreno su cui Hannibal può piantare il seme del suo controllo e della sua influenza. Un Will sicuro di sé, o troppo smargiasso, non potrebbe offrire il fianco alle manipolazioni del Lecter. Alla fine è lo stesso ragionamento che stava (o starà, se seguiamo la scansione dei libri) dietro il personaggio di Clarisse Starling: il cacciatore che diventa cacciato, lo studioso studiato. In questo, Hugh Dancy dà fondo alla sua faccia pulita e allo sguardo da cucciolo. E cucciolo non è una parola casuale: crede di essere un predatore, e invece è una preda.

dancy

7.Il coraggio di non essere mai “solo un poliziesco”
In fondo in fondo, alla base del successo di Hannibal – sì successo: il fatto che abbia fatto pochi ascolti su una rete inadatta non significa che non abbia lasciato un segno profondo su una larga fetta di fan – sta anche la capacità di presentarsi come un investigativo che in realtà va molto oltre le regole e i limiti del genere. Il costante, insistito e a volte pure eccessivo approfondimento psicologico crea un effetto vagamente simile alla prima stagione di True Detective. Sì ok, ci interessa vedere come Will becca i cattivi e tutto il resto, ma non sono questi gli elementi che rimangono in testa delle tre stagioni di Hannibal, a distanza di mesi o anni. A restare impressi sono i rapporti malatissimi fra i personaggi, e il modo in cui queste spiccate devianze trovano concretezza in una sceneggiatura fatta di parole spesso sussurrate che ma che scavano nel profondo. Chi ha avuto il coraggio di immergersi in questa poltiglia emozionale ha vissuto esperienze fantastiche. Tutti gli altri hanno pensato di vedere un poliziesco troppo moscio.
Come dire, cazzi loro…

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