17 Dicembre 2015 20 commenti

Fargo 2 season finale: ma che grande stagione! di Diego Castelli

Quante belle cose!

Copertina, On Air

Fargo cover

SPOILER SU TUTTA LA SECONDA STAGIONE!

Arrivati alla fine della seconda stagione di Fargo ci troviamo nell’antipatica e insieme entusiasmante posizione di dire “ve l’avevamo detto”. Quando tutti stravedevano (giustamente) per la prima stagione di True Detective, noi dicevamo “sì però guardate che Fargo forse è meglio, e soprattutto ci fa meno paura per il futuro”.
Avevamo meno paura perché mentre True Detective sembrava troppo legata ai guizzi filosofico-autoriali del suo unico autore, e soprattutto alla verve straordinaria di un attore che poi sarebbe sparito, Fargo appariva come un perfetto orologio, un meccanismo calibratissimo che dava l’impressione di poter essere replicato con maggiore facilità ed efficienza.

Evidentemente “facilità” è un termine un po’ improprio, visto che di serie come Fargo ce ne sono poche, e se fosse così facile lo farebbero tutti. Ciò non toglie che una serie come questa, anche dopo la seconda stagione, lasci in bocca un sapore di altissimo artigianato, un puzzle costruito con la modestia di chi vuole innanzitutto raccontare una storia, ma che lo fa così bene da travalicare il semplice racconto sfociando nella poesia audiovisiva.

Fargo season 2 (1)

Con questa seconda stagione gli autori di Fargo hanno deciso di raccontare eventi molto precedenti a quelli del primo ciclo di episodi, lasciando che le connessioni fossero create da alcuni personaggi (come i Solverson) e da altri dettagli di messa in scena, senza cioè che la comprensibilità del tutto venisse in alcun modo minata dall’eventuale mancata visione della prima stagione.
Ma il concetto, molto più basilare, è che Fargo si riconosce praticamente a ogni scena. La firma di Noah Hawley, che poi è la firma dei fratelli Coen omaggiata e adattata alla serialità, impregna praticamente ogni inquadratura, ogni battuta di dialogo, ogni minuto speso a guardare le (dis)avventure di questo improbabile gruppo di personaggi.

L’abbiamo detto più volte anche in fase di serial moments: il succo ultimo di Fargo (anche a partire dal film) è quello di mostrare l’insignificanza umana, l’incredibile ma spesso invisibile peso del Caso su esistenze completamente stravolte da piccolissimi dettagli che potevano andare in un senso o nell’altro.
Imbucati in paesaggi brulli e innevati che, per dirla prosaicamente, non si caga mai nessuno, i personaggi di tutte le incarnazioni di Fargo vengono sballottati da coincidenze incredibili o improvvisi moti dell’animo, piccoli fiocchi che danno vita a enormi valanghe senza che nessuno ci possa fare niente.
Guardate ad esempio gli alieni della seconda stagione, che distraggono Rye facendolo investire e, così, dando inizio a una vicenda molto più lunga e complicata di quanto potesse far pensare un semplice incidente d’auto (gli alieni servono anche a un sacco di altre cose, come autoironia di fronte al “tratto da una storia vera”, come simbolo dei fine anni Settanta, anni di Star Wars, di Incontri ravvicinati del Terzo tipo e di complottismo, ma vabbè, servirebbe un articolo a parte).
Stesso discorso di quando, nella prima stagione, il povero Lester incontra in maniera del tutto casuale lo spietato Lorne Malvo.

Fargo season 2 (3)

Ma se fosse solo questo, se cioè Fargo fosse un pugno di incidenti casuali occorsi a persone casuali, non sarebbe sta gran cosa, sarebbe Paperissima. Il bello di Fargo è che, in questo mondo piccolo e insignificante, la grandezza te la fa vedere comunque, ed è la grandezza che sta negli occhi dei protagonisti. Siamo noi spettatori che vediamo la loro fragilità e la loro impotenza, ma contemporaneamente vediamo e viviamo anche il loro punto di vista, un punto di vista che, nella seconda stagione, parla di tradizione, famiglia, onore, reputazione, potere, speranza per un futuro migliore. Che si tratti della famiglia Gerhardt, di Ed e Peggy, perfino dei Solverson, in cui la malattia di Betsy impone un certo tipo di riflessioni sul futuro, tutti i caratteri che popolano i dintorni di Fargo hanno la precisa percezione di essere al centro di un vero e proprio uragano di eventi. Vedono la loro vita, i loro sogni e le loro credenze sconvolte più e più volte, e si trovano a dover prendere decisioni che, nella loro particolare prospettiva, sono letteralmente questioni di vita e di morte.

Fargo season 2 (2)

Questo è il meraviglioso paradosso di Fargo, l’elemento che tiene la serie in quel formidabile equilibrio fra epica eroica e comicità più grottesca: la percezione della forza delle passioni dei personaggi, unita alla consapevolezza di quanto quelle passioni siano basate sul nulla e dirette verso il nulla, in un gioco umano in cui ognuno di loro (e per riflesso ognuno di noi) non è altro che un affannato moscerino disperso in un mare di neve.

La perfezione formale che da sempre caratterizza la serie diviene allora un semplice (più o meno!) strumento con cui incorniciare quel paradosso. L’amore per il dettaglio, l’inquadratura insistita su un piccolo oggetto che si rivelerà determinante, il lento movimento di macchina che racconta indicibili violenze con sguardo pacato e quasi indifferente, i discorsi ampollosi di personaggi che, a conti fatti, sono niente più che assassini: questi e altri sono gli strumenti con cui gli autori di Fargo creano il senso di straniamento e, spesso, grottesca comicità che è la firma unica della serie e dei Coen in generale. A ben pensarci, sono strumenti che racchiudono essi stessi un paradosso: si tratta di artifici per nulla nuovi nella storia del cinema e della tv, niente di rivoluzionario, che però vengono usati in modo sempre originale, sempre capace di strappare un sorriso, una lacrima o un applauso. Un po’ come qualunque buon romanzo, che in fondo altro non è che una ricombinazione diversa delle solite parole di una lingua già conosciuta.

Fargo season 2 (5)

Parlando specificamente del finale, più composto e “filosofico” rispetto allo scoppiettante episodio nove, ci sono vari momenti che mi paiono perfetti per chiudere le riflessioni portate avanti in tutta la stagione.
C’è Hanzee, sopravvissuto ai vari massacri e rimasto solo con la sua sete di vendetta, “uccidere ed essere uccisi”, in un circolo vizioso da giustiziere della domenica che lo porta (nella sua ultima inquadratura) ad attaccare dei bulli adolescenti come fossero gerarchi nazisti.
C’è Mike Milligan, altro cattivo uscito vincitore, che spera di dare l’avvio a una grande carriera di boss, e invece si ritrova promosso a contabile, in un mondo nuovo fatto di finanza e numeri incasellati in cui non c’è posto per i cowboy (non è un paese per vecchi, verrebbe da dire…), e tutte le imprese eroiche ed epiche che hai compiuto sono presto dimenticate.
C’è Betsy, forse l’unica a cui viene concesso di esprimere speranza (quando dice che per tutti c’è uno scopo), e che però è anche un personaggio condannato dalla malattia, visto che già sappiamo che non sopravviverà (tra parentesi, brividoni per il sogno con gli attori della prima stagione).
E infine, proprio a chiusura di tutto, c’è quella riflessione del vecchio Hank, che finalmente spiega quell’ufficio pieno di scartoffie pasticciate che aveva fatto preoccupare Betsy. Convinto che la maggior parte dei conflitti e del Male presente nel mondo venga da problemi di comunicazione e di linguaggio, Hank stava cercando di elaborare una lingua universale, un idioma che potesse consentire a tutto il mondo di esprimersi con la certezza di essere capiti e, poco dopo, amati. Ancora una volta, e in modo quanto mai esplicito, Fargo mette in scena la ricerca disperata del senso, la battaglia per il significato, lo sforzo supremo per capire ed essere capiti. Sforzo, inutile dirlo, tanto eroico quasi inutile: Hank ci viene mostrato come poco più che un nonno illuso con un buffo hobby.

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A conclusione, se proprio vogliamo trovare un difetto lo dobbiamo cercare per differenza con la prima stagione. I vari Kirsten Dunst, Jesse Plemons, Ted Danson ecc, per quanto ottimi nelle loro interpretazioni (per non parlare della famiglia Gerhardt), probabilmente non arrivano al livello di Billy Bob Thornton e Martin Freeman. Già un anno fa c’era l’impressione di stare guardando due veri mostri alle prese con una prova indimenticabile, e la seconda stagione conferma quella prima sensazione. Fortunatamente, come si è visto, il mondo di Fargo ha tanto da offrire oltre alla semplice sfida fra grandi attori. Quindi va benissimo così.

Argomenti fargo, fratelli coen, fx


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