Killjoys e Dark Matter: non è che bastano le astronavi, dai… di Diego Castelli
Quella fantascienza che in fondo chissene
Quando si parla di serie tv, di solito vengono in mente gli Stati Uniti. Grosse produzioni, molti tra i telefilm più famosi della storia, attoroni eccezionali ecc. Però il mondo seriale non si esaurisce in quella cinquantina di stati. C’è l’Inghilterra, spesso più povera di mezzi ma assai ricca di idee. C’è il nord europa, che negli ultimi anni ha saputo innovare molto, specie in ambito crime-investigativo. Ci siamo noi, che abbiamo Don Mat… ehm…
In tutto questo, il povero Canada è il cugino sfigato. Non ha la forza culturale per imporre un modello narrativo abbastanza diverso dagli americani, ma allo stesso tempo non ha le risorse (in primo luogo economiche) per reggere il confronto con i colleghi del sud. Per questo, con poche eccezioni, le serie canadesi sembrano brutte copie di show americani più roboanti.
Non fanno eccezione le due ultime nate in casa Space, canale dedicato alla fantascienza saldamente gemellato con l’americano SyFy, un altro di cui ci si può fidare fino a un certo punto (perché ti propone Battlestar Galactica e poi rilancia Olympus).
Partiamo con la peggiore delle due, Killjoys. Protagonisti due cacciatori di taglie spaziali che presto diventano tre (si aggiunge il fratello di uno dei due). Combattono per prendere i criminali, e intanto finiscono invischiati in una guerra interplanetaria. Concept semplice, possibilità pressoché infinite, un tono che rimane abbastanza ancorato all’azione e alle battute (teoricamente) badass, infilando dentro qualche elemento di drama, potenzialmente anche romantico (i killjoys sono due uomini e una donna, fatevi due conti…).
Fin qui adrebbe tutto bene. Come dire, le basi ci sarebbero. Il problema è che è tutto brutto. La storia diventa subito moscia, i dialoghi spesso fanno ridere, la messa in scena non consente mai di stupirsi di nulla.
Il vero problema, però, è il casting. I due uomini sono Luke MacFarlane (che molti ricorderanno come Scotty in Brothers & Sisters) e Aaron Ashmore (il buon vecchio Jimmy Olsen di Smallville nonché fratello gemello di Shawn Ashmore, che faceva The Following). Fanno entrambi abbastanza pietà. Mai un guizzo, mai un motivo per trovarli davvero simpatici. Ma l’ecatombe arriva con la ragazza, Hannah John-Kamen, che in vita sua ha fatto piuttosto poco, e per buoni motivi. Una cagna maledetta, direbbe il buon René Ferretti, una che rende inverosimile qualunque cosa dica e che, pur essendo una discreta bellezza, riesce comunque ad ammosciare tutto (metaforicamente) con la sua violenta pochezza.
Non che ad avere tre attoroni sarebbe andata meglio, avendo quella sceneggiatura lì, però gli attori sono il primissimo biglietto da visita di una serie: se dopo tre battute ho voglia di prenderli tutti a sberle non va mica bene.
Seconda serie di giornata, in questa doppia recensione che mi mette un po’ le vertigini, è Dark Matter. Tratta da un fumetto scritto da Joseph Mallozzi e Paul Mullie (che sono poi gli stessi autori della serie), racconta di un gruppo di astronauti che si svegliano dall’ibernazione senza ricordare nulla della loro identità e del loro passato. Che ci fanno insieme su quella nave? Avevano una missione da compiere? Erano brave persone o no?
Qui il livello è più alto. Il concept è meno banale e abbastanza intrigante, almeno c’è un mistero da risolvere che dà un po’ di pepe alla faccenda, e il livello della recitazione non è così infimo come nel caso precedente. Il problema, ancora una volta, lo fanno i soldi e le idee. I pochi soldi impediscono di costruire una fantascienza che vada oltre un drama dai buffi costumi e dalle stanze claustrofobiche, con ogni tanto un inserto di astronave cartonata che vola nell’iperspazio. Le poche idee, invece, fanno sì che il bel concept arrivi a un discreto twist alla fine del pilot, per poi perdersi nel niente, in una riproposizione di schemi complottisti e criminosi che sembrano presi di peso da serie che con la fantascienza non c’entrano niente. Quando poi si prova ad andare sul serio nell’ambito sci-fi, ecco che arrivano le scopiazzature, come il sesto episodio che è praticamente un plagio di Inception.
A questo aggiungete il fastidio per il fatto che si chiama “Dark Matter” ma non si parla mai di materia oscura (argomento assai interessante), ed ecco che il quadretto sconfortante è completato.
Per quanto il livello delle due serie sia diverso (Killjoys “proprio no”, Dark Matter “dipende dalla serata”), il problema di fondo è quello di un canale che vuole fare fantascienza, ma che della fantascienza prende gli elementi più banali trattandoli nel modo meno intrigante possibile. C’è ben poco, in queste due serie, che vada oltre gruppetti di uomini e donne che si sparano a vicenda per motivazioni del tutto ordinarie.
La fantascienza, per essere buona fantascienza, deve stupire, deve aprire davanti agli occhi dello spettatore mondi sconosciuti e situazioni anomale che però permettano di riflettere su cose concrete che riguardano anche il presente extratelefilmico.
Non è solo una questione di soldi: basta guardare Humans per capire come si può fare buona fantascienza spendendo né più né meno che qualunque altra serie.
Se però ti adagi solo sull’action, allora sì ti servono il danaro, gli effettoni specialoni e una direzione artistica che lasci lo spettatore a bocca aperta.
Pur nelle loro differenze, Killjoys e Dark Matter non sembrano avere nulla di tutto ciò.
Perché seguirle: se vi entusiasmate al solo vedere le astronavi, allora qui hanno le astronavi.
Perché mollarle: è fantascienza di scarso rilievo, che non riesce mai a stupire e si affida a situazioni e strutture viste e straviste.