17 Luglio 2015 8 commenti

7 Days in Hell: quando Jon Snow divenne pirla di Diego Castelli

40 minuti da vedere e archiviare in un angolo strano e buio del cervello

Copertina, On Air

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Non credo che questo articolo rimarrà nella memoria come il migliore di Serial Minds – tra l’altro stasera sono stanco come Cicciolina a una gara di triathlon (non è una cosa sessuale, è che Cicciolina a fare il triathlon non ce la vedo) – né penso che l’oggetto della recensione verrà tramandato ai posteri come gemma indiscussa della narrazione televisiva. Non è nemmeno la prima volta che recensiamo un “pezzo singolo”, l’avevamo già fatto per esempio col film di Veronica Mars.

Però due-cose-due su 7 Days in Hell bisogna dirle, anche perché l’avevamo annunciato in pompa magna tipo evento dell’estate, e ora non possiamo fare finta di niente.
Ricordate? Parliamo del finto documentario prodotto da HBO, in cui si racconta della più lunga partita di tennis mai giocata, durata per l’appunto sette giorni. Ai due lati del campo ci sono Aaron Williams (interpretato da Andy Samberg, protagonista di Brooklyn Nine-Nine) e Charles Poole (che ha la faccia di Kit Harington, alias Jon Snow di Game of Thrones). A raccontare la loro storia ci sono spezzoni della partita, contributi da parte di grandi star del tennis presente e passato, immagini di repertorio da programmi televisivi mai andati in onda.

Ci sono due modi di analizzare 7 Days in Hell, diciamo due piani di lettura.
Al primo piano, quello che riguarda il prodotto di per sé, il tv movie è un’accozzaglia gustosa e becerotta di sketch di vario tipo. Alcune cose funzionano alla grande (il giudice di linea ucciso, l’idiozia di Charles nelle interviste, la cura nella riproposizione delle tecniche del documentario classico ecc), altre un po’ meno (come la lungaggine della gag orgiastica, divertente all’inizio ma tirata troppo per le lunghe). Però è roba immediata, svelta, che fa ridere, sapientemente stupidotta e ridicola, in bilico fra il trash e il grottesco. Qualcuno potrebbe non gradire il livello sorprendentemente “basso” di alcune gag, ma io mi ci sono divertito senza troppi pensieri.

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La verità, però, è che il modo migliore di apprezzare 7 Days in Hell è considerare non tanto il cosa, quanto il “chi”.
D’altronde ce l’eravamo detto subito: ad attirarci, all’uscita del trailer, non fu tanto il concept della storia, quanto che i protagonisti fossero Jake Peralta e Jon Snow. In questo senso, considerando quanto negli ultimi anni il suo volto sia stato completamente associato all’ombroso bastardo Stark, il Charles Poole interpretato da Kit Harington è esilarante. Scaltro come una piastrella scheggiata, Charles guadagna tantissimo dall’avere proprio quella faccia lì, e per quanto molti non avrebbero difficoltà a sostenere che lo stesso Jon Snow sia abbastanza idiota, vi assicuro che il passaggio dall’uno all’altro personaggio è una roba da spanciarsi (oltre che un utile promemoria di quanto trucco e parrucco possano rendere figo o al contrario intrombabile un attore o un’attrice).
Ragionamento abbastanza simile si può applicare su molti altri elementi del movie, per il quale i serialminder (oltre agli appassionati di tennis) rappresentano il pubblico ideale.
Ci sono Serena Williams e John McEnroe, prestati all’idiozia ma bravissimi nel mantenere l’aplomb da intervistato “vero”. Il migliore però è David Copperfield: il famoso illusionista, di cui non sentivo parlare da quando andavo alle medie, è protagonista di un paio di momenti veramente spassosi, e probabilmente è quello più bravo a mettersi in gioco.
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Ma soprattutto, per noi divoratori di serie tv, ci sono anche Will Forte (da The Last Man on Earth), Lena Dunham (matrona di Girls) e Michael Sheen (il Bill di Masters of Sex). Se la Dunham tutto sommato fa sempre se stessa, Sheen invece diventa un presentatore televisivo viscido e farfallone, protagonista di 2-3 scene che sarebbero già divertenti, ma che diventano completamente disorientanti per i fan di Masters of Sex.

Non è il film della vita, 7 Days in Hell, e non è che la cosa ci crei grossi scompensi: all’uscita del trailer ci siamo entusiasmati, ma anche perché era bello farlo, non perché credessimo davvero che la nostra estate televisiva sarebbe svoltata dopo la sua messa in onda.
Detto questo, i serialminder DEVONO guardarlo, perché c’è più di un momento che vale da solo il prezzo del biglietto. Che poi il biglietto non c’è, e dura pure 40 minuti (all’inizio pensavo 90). Quindi si fa alla svelta proprio.
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