Sherlock – La serie tv sul caro Holmes di Marco Villa
L’assoluta contemporaneità del caro, vecchio Holmes
Di solito a Serial Minds proviamo ad arrivare subito sulle novità, a coprirle non appena vanno in onda. Non sempre ci si riesce e oggi parliamo di una serie andata in onda la scorsa estate con un buon successo di pubblico e critica.
Come ieri, parliamo di una serie inglese. Ma se per Accused la definizione di crime rischia di essere quasi fuorviante, in questo caso parliamo di un nome che sta alla base del genere poliziesco e della letteratura gialla: Sherlock Holmes.
Per l’esattezza, la serie si chiama solo Sherlock, è stata creata da Mark Gatiss e Steven Moffat ed è andata in onda tra luglio e agosto su BBC One, per un totale di tre puntate da 90 minuti ciascuna.
Non pensate a nulla in costume, però. Le vicende sono le stesse create da Sir Arthur Conan Doyle a fine ‘800, ma l’ambientazione è la Londra di oggi. Un’operazione in un certo senso parallela rispetto a quanto fatto al cinema da Guy Ritchie: là si è piegata la figura di Holmes al genere del film d’azione, qui si trasferisce tutto quell’universo nel tempo presente. Il primo episodio, A study in pink, è infatti la rielaborazione – non solo cromatica – di A study in scarlet, prima avventura letteraria di Holmes.
Nonostante l’indagine sia il fulcro di tutta la vicenda, il racconto pare a tratti un semplice pretesto. Ogni cosa è dominata dalla grandezza del personaggio principale. Sherlock si presenta infatti come una figura del tutto contemporanea per pensiero, difetti e carattere. L’Holmes interpretato da Benedict Cumberbatch è la combinazione impossibile tra due giganti della serialità degli anni zero. Da una parte Gil Grissom di CSI, per la sua cieca fiducia nel ragionamento e la passione per il comportamento degli insetti – insetti che in questo caso diventano gli esseri umani, studiati con lo stesso distacco e la stessa superiorità. Dall’altra Gregory House, il diagnosta tossico, cinico e insuperabile, che usa il prossimo come cavia per i propri giochetti psicologici.
Il risultato è un personaggio allo stesso tempo insostenibile e irresistibile, con un ego di proporzioni epiche e una continua tendenza al ragionamento laterale. A questi tratti, va aggiunto un comportamento sociopatico, che ad esempio lo spinge a comunicare con il resto del mondo attraverso sms, non tanto per un vezzo, quanto per evitare che l’interlocutore gli risponda simultaneamente, finendo per infastidirlo. Atteggiamenti che ricordano lo Sheldon Cooper di The Big Bang Theory o, meglio, il Mark Zuckerberg di The Social Network.
Cito il film di Fincher perché la scrittura di Sherlock ricorda per certi versi lo stile di Aaron Sorkin (sceneggiatore del film sul fondatore di Facebook e di altre meraviglie quali The West Wing), fatta di dialoghi fulminanti, spesso portati avanti contemporaneamente su più piani.
Insomma, un altro titolo da non perdere. È vero, è l’ennesima serie inglese che elogiamo, ma non è colpa nostra se da quelle parti ci sanno fare.
E poi, sinceramente, volete mettere il bello di guardarsi Sherlock Holmes con questo freddo?
D’estate non sarebbe stata la stessa cosa.