16 Giugno 2015 62 commenti

Game of Thrones 5 season finale: sorprese, lacrime e macropensieri di Diego Castelli

Forse il finale più importante da inizio serie

Copertina, On Air

Game of Thrones 5 finale Tyrion

 

OVVIAMENTE È PIENO DI SPOILERRRRR!!!!

 

Cazzarola, c’è così tanto da dire della (e sulla, e intorno alla) quinta stagione di Game of Thrones, che non so bene da che parte cominciare.

Allora iniziamo dalle cose semplici: è stata una buona stagione. Anzi, una gran bella stagione. E qualcuno dirà: sì ok, ma se invece degli ultimi tre episodi guardi i primi sette? Il giudizio è uguale? Perché vi ho sentiti nelle scorse settimane, birichini, mentre vi lamentavate del fatto che non succedeva niente.
Però già qui bisogna fermarsi a riflettere un momento. Diciamoci la verità: tutte le stagioni di GoT sono così. A parte poche scene pur memorabili  (non serve nemmeno che faccia esempi), Game of Thrones rimane in larga parte un drama, e spesso un drama politico. Nel gioco dei troni contano alleanze, segreti, spostamenti nelle posizioni di potere. Quindi sì, in Game of Thrones si parla un casino, e credo che sempre lo si farà.
Ai tempi della prima stagione, proprio nei primissimi episodi, eravamo estasiati dal livello di questo dialogo, dalla capacità di Martin (e dei suoi adattatori televisivi) di costruire frasi e parole che avessero sempre un doppio senso, una parte oscura se vogliamo, che dava l’idea della complessità delle forze interessate al trono di spade.
Per quanto negli anni un calo ci possa essere stato, e la storia abbia trovato risvolti più o meno efficaci, non credo che sia questo il punto. Non credo, cioè, che la qualità di base sia diminuita in termini assoluti. Siamo noi che siamo un po’ cambiati: ci siamo in parte abituati a un certo tipo di messa in scena, e siamo diventati in qualche modo dipendenti dalle morti improvvise e dalle sequenze strappabudella. Questo a mio giudizio spiega in buona parte il motivo per cui, se non c’è di mezzo un Red Wedding, ci sembra che non stia succedendo “niente”.
Lo trovo un meccanismo comprensibile (succede anche a me), ma probabilmente ingiusto. In fondo anche quest’anno, durante certi episodi più lenti o circonvoluti, mi sono posto la domanda “Sono interessato a vedere che succede? Voglio ancora vedere questa serie? Anche se gli episodi durano un’ora e la sigla tipo due minuti interi?” e la risposta è sempre stata “Cazzo sì”.
Quindi anche le puntate teoricamente più loffie continuano a manifestare un fascino evidente, un fascino fatto di parole e costumi, di sguardi e di rivelazioni, che posizionano anche i momenti più pesanti di GoT a un livello che molte altre serie non vedranno mai. Anche quando il nostro cervello drogato vorrebbe sempre vedere una Vipera accecata o un Mastino trafitto.

Game of Thrones 5 finale Brienne

Fatta questa premessa, ed eliminato un vago senso di colpa, arrivano poi le tre puntate finali, che ovviamente alimentano il meccanismo perverso descritto poco fa. Partendo dal primo dialogo Tyrion-Daenerys, passando per la battaglia contro i white walkers, e arrivando al povero Jon Snow steso sulla neve, la seconda parte della stagione ha mostrato con superba facilità il motivo per cui Game of Thrones è il principale fenomeno serial-culturale di questi anni. Un livello produttivo altissimo, scene degne del miglior cinema, protagonisti portati al limite e lasciati cadere nel vuoto, alte vette di lirismo e improvvise discese negli inferi più bollenti e sanguinanti. Sbavature? Poche, forse qualche inciampo negli effetti speciali pur bellissimi: quando Khaleesi scappa in sella a Drogon lo sfondo diventa immediatamente posticcio, e quando Cersei è costretta a percorrere la sua Walk of Shame, la faccia di Lena Headey viene appiccicata in modo non sempre impeccabile sul volto della modella che le presta il corpo (tra parentesi, continuano a intervistare la Headey su quella scena, ma per metà non l’ha girata lei, ehm…).

Ecco, la Walk of Shame: pecche tecniche a parte, la forza di quella scena è totale. Non solo per l’insistenza della camminata, per la lunghezza fisica della sequenza, che ci fa sentire tutto-ma-proprio-tutto il peso di quello che sta accadendo. Soprattutto perché il suo effetto è radicalmente opposto a quello che ci saremmo aspettati “venendone a sapere”. Cersei Lannister è uno dei personaggi più odiati della serie, e il pensiero della perfida reggente sconfitta e/o morta era qualcosa con cui potevamo addormentarci la notte col sorriso sulle labbra. Ma “vederla”… be’ vederla è stata tutt’altra cosa. La Walk of Shame è perfetta perché riesce a trasmettere in pieno l’essenza di Westeros e della serie nel suo complesso: un luogo dove pochi possono essere considerati “puri”, e dove luce e ombra si mescolano continuamente. Alla fine della camminata non solo proviamo compassione per Cersei, ma siamo segretamente divertiti al pensiero di come si vendicherà del maledetto Passero (e non credo sia dovuto solo alla mia innata antipatia per preti & simili).
Ecco perché la Walk of Shame quasi più importante della morte di Jon Snow: perché è più forte iconicamente, perché riesce ad arricchire un certo tipo di discorso complessivo.

Game of Thrones 5 finale Cersei

La morte del povero bastardo, dal canto suo, è l’amara, amarissima ciliegina su una torta già piuttosto calorica fatta dalla fuga di Sansa (buttati, è morbido!), da una Arya badass come pochi e purtroppo accecata, dall’ingloriosa fine di Stannis ecc ecc. È però una sorpresa relativa, dovuta più che altro alla tempistica, perché il fatto che Jon stesse facendo incazzare tutti, in primo luogo quello schifoso ragazzino, era cosa evidente a chiunque (anche grazie alle puntate loffie). Certo, vederlo trapassare più e più volte dai suoi ex amici, gente che lui ha amato e protetto, be’, il respiro te lo porta via eccome.
Tra l’altro sulla morte di Jon Snow si scatenano già le speculazioni: complice il fatto che nei libri la sua dipartita non è ancora certissima, i fan (e le fan) sperano che il giovanotto non sia ancora defunto, ma possa risorgere in base a complicati meccanismi che sarebbero legati alla sua presunta identità di Targaryen segreto (figlio di Lyanna Stark e Rhaegar Targaryen), piuttosto che il figlio di Ned Stark e di un puttanone da bar. Tutte ipotesi dei fan eh, di ufficiale non c’è niente.
Non abbiamo tempo di approfondire ulteriormente le teorie del complotto, vi lascio questo link se la cosa vi interessa. Per parte mia, dico che vederlo con gli occhi sbarrati, e sapere che Kit Harington ha detto che non tornerà più, mi basta per passare un’estate di certezze. Se poi dovrò essere smentito e sorpreso, perché magari Melisandre tira fuori la magia dalla vagina come suo solito, sarò il primo a rallegrarmene. (Però diciamolo: se queste voci arrivano a Martin, quello cambia tutto apposta)

Questo è tutto il bello, il potente, l’intrattenimento più immediato e coinvolgente.
Ma ho l’impressione che questa quinta stagione sia più importante delle altre per un motivo più vasto, macronarrativo.
E andiamo a pagina due, via.



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