Buffy – Quando i vampiri non scrivevano diari di Diego Castelli
Perché è giusto ricordare la biondina dal pugno d’acciaio
Qualche giorno fa si è saputo che è in cantiere il remake di Buffy l’ammazza vampiri. No, non la serie, bensì il film del 1992 che di quella stessa serie era la base concettuale e narrativa. In realtà, la notizia che più ha colpito i fan (del telefilm, perché quelli del film non sono molti…) non è tanto l’annuncio del remake, quanto il fatto che Joss Whedon, l’unico e solo papà di Buffy, non è stato coinvolto nel progetto. Delusione e rammarico, di fronte a quella che pare una colossale pistolata.
Comunque, questo post non parla di cinema. Prendo solo spunto dall’attualità per salvare dall’oblio proprio la vera Buffy, che ritengo uno dei prodotti televisivi più interessanti degli ultimi vent’anni (e, tangenzialmente, cerco così di spiegare perché lasciare fuori Whedon non ha alcun senso).
La trama ve la ricordate tutti: teen ager all’apparenza normale si rivela essere la possente Cacciatrice, unica paladina umana della lotta contro le forze del Male (vampiri, demoni, e tutta quella gente lì).
Su Buffy si è detto e scritto molto, e non ho la pretesa di aggiungere chissà che. Mi limiterò a mettere in evidenza ciò che a mio giudizio ha rappresentato la base del successo della serie, e il motivo per cui è giusto ricordarla.
Sono sempre rimasto affascinato dalla capacità di Buffy di tenere insieme, quasi senza scossoni, elementi completamenti opposti.
Da una parte, si basava su strutture e stilemi tipicamente “maschili”, raccattati nei B-movie horror e d’azione. Ecco allora le arti marziali, i mostri deformi che attaccano le donzelle in pericolo, le battute spaccone, gli impalettamenti/squartamenti/ammazzamenti. Roba che normalmente viene schifata dalle spettatrici come volgare espressione del nostro arrogante testosterone.
Allo stesso tempo, però, Buffy è riuscita a proporre efficacissimi elementi “femminili”, che l’hanno resa un vero fenomeno tra fanciulle di ogni età e paese. Alla base di questo seguito c’era proprio la protagonista, una ragazza all’apparenza normale ma che nasconde una straordinaria forza fisica e mentale. Un’eroina anti-stupro, insomma, fatta apposta per fomentare pulsioni aspirazionali. Ma di certo non è solo questo: c’erano il liceo, i problemi familiari, la figura paterna dell’Osservatore. E, soprattutto, c’era un romanticismo potentissimo: la storia di Buffy e Angel, e poi il rapporto tutto particolare con Spike (ma dovremmo inserire anche le relazioni “secondarie”, come la lesbo-story tra Willow e Tara), hanno attirato frotte di pubblico femminile, sempre all’interno di quella cornice fondamentalmente guerresca e un po’ trash che paradossalmente avrebbe potuto allontanarlo.
La vera forza di Buffy, dunque, è questo equilibrio tra elementi così diversi. Nemmeno lontamente raggiunto da prodotti simili e più recenti come Vampire Diaries e True Blood, che io ritengo assolutamente pregevoli, ma anche inevitabilmente sbilanciati in un senso o nell’altro. E l’artefice di questo equilibrio è proprio Joss Whedon, un vero “autore”, una mente creativa capace di prendere mille spunti diversi per fonderli in un quadro del tutto personale (e, come tutte le visioni così particolari, amata o odiata, con poche vie di mezzo).
Tra le tante invenzioni, nella mia classifica il primo posto è occupato dall’inizio della quinta stagione. Non la morte di Angel, non il sacrificio di Spike o la resurrezione della Cacciatrice, bensì la comparsa improvvisa di Dawn, la sorella minore di Buffy, che mai avevamo visto prima, ma che tutti i personaggi mostravano di conoscere, come se fosse sempre esistita e avesse sempre fatto parte della serie. Al di là della spiegazione che successivamente venne data di questo fatto sorprendente – che tirava in ballo magia e manipolazione mentale di tutti i personaggi, con dinamiche non lontane, ad esempio, dal fumetto supereroistico – rimangono nella mia mente le ore di sbigottimento di fronte a questa tizia caruccia spuntata dal nulla, che mi fece credere di aver perso chissà quante puntate in una qualche forma di sospensione spazio-temporale. In realtà, era solo quel geniaccio di Whedon che ci prendeva in giro, giocando coi codici del racconto come un bambinone felice.
E’ proprio in virtù di questa forza creativa, di questo grande senso della narrazione e del bilanciamento degli opposti, che la notizia di una nuova Buffy senza Joss Whedon mi lascia completamente terrorizzato!