1992 – La serie che noi trentenni ci meritiamo di Chiara Grizzaffi
1992 non è Gomorra, ma va bene così
Nel 1992 i più fortunati fra i serialminders forse non erano ancora nati (a Villa e Castelli piace pensare di avere un seguito di giovani, li fa sentire vivi); personalmente, quell’anno ero impegnata a gestire la complicata fase di passaggio da “feste con la cassetta di Fivelandia” a “feste con la hit pop del momento”, che in quell’anno disgraziatissimo era Please don’t go dei Don’t you, e Tangentopoli era poco più di una parola che riempiva i telegiornali che guardavano i miei, mentre io ero già stata irrimediabilmente corrotta dai programmi delle reti Fininvest, pronte a regalarmi la mia prima ragione di vita seriale, Beverly Hills 90210. Tutto questo per dire che in fondo è con una certa attesa che mi sono avvicinata a 1992, la nuova serie #daunideadistefanoaccorsi (già…) in onda su Sky Atlantic, perché niente innesca la nostalgia come qualcosa che ti parla di un passato lontano ma allo stesso tempo familiare, e la nostalgia è qualcosa che funziona, a livello seriale, dai tempi di Happy Days.
L’opinione più ricorrente che avrete letto a proposito di 1992 è che “non è Gomorra”, che le buone intenzioni non bastano, insomma che 1992 non è la “serie evento” che tutti si aspettavano. Sì, 1992 non è Gomorra, e del resto il compito che si assume è molto più difficile: Gomorra in fondo lavora su un immaginario già costruito dal precedente letterario e cinematografico, e può contare su un team che ha pienamente dimostrato la sua abilità nello sfruttare un certo genere e i suoi codici (vedi Romanzo criminale). 1992 invece non lavora su un genere preciso, ma ne sfiora diversi: c’è sì il filone dell’inchiesta giudiziaria, ma anche le sottotrame sentimental-familiari, e quelle più squisitamente politiche. I cinque protagonisti di 1992 sono personaggi di finzione, ricalcati evidentemente sulla falsariga dei tipi umani di cui tutti noi conosciamo, grazie alle cronache recenti, diversi corrispettivi reali: c’è la soubrette assetata di successo che si porta a letto chiunque possa servirle allo scopo (“chi ti dovevi scopare te lo sei già scopato”, le dice il presunto responsabile dei casting di Domenica In, tanto per non lasciare dubbi), il poliziotto in cerca di una vendetta personale, l’uomo del marketing un po’ Don Draper de noantri (mi piace pensare la vera idea di Stefano Accorsi sia riassumibile in “facciamolo un po’ Mad Men”), la giovane ereditiera con tendenze autodistruttive e l’ex militare senza scopo nella vita che improvvisamente diventa il volto della nascente Lega Nord.
È evidente che questi personaggi fittizi hanno una funzione esemplare, e servono a far quadrare i conti di un passato recente pieno di zone d’ombra, e di questioni che in qualunque ricostruzione documentaria che pretendesse di restituirne la complessità rimarrebbero invece quantomeno ambigue. In 1992, e questo forse è il difetto più vistoso, tutto è troppo chiaro: le intenzioni dei personaggi, la loro funzione all’interno della storia, i percorsi dell’indagine del pool di Mani Pulite, l’ascesa del berlusconismo. La serie sceglie la via della semplificazione, e non lo nasconde: perciò via di giovane recluta della polizia che praticamente muove le fila dell’inchiesta insieme a un Di Pietro incredibilmente infighito (nessuno si aspettava una cosa tipo Servillo-Andreotti, per carità, però se prendi a modello un personaggio esistente e mediaticamente abbastanza esposto e lo chiami Di Pietro, sei proprio sicuro di volergli dare una voce profonda, un piglio sicuro e una perfetta conoscenza della sintassi?); via di Dell’Utri monologante sul tetto che spiega a Accorsi-Notte (la serie è piena di cognomi che suggeriscono similitudini, da “Notte” a “Pastore”, tanto per non lasciare dubbi) la politica del futuro per parabole, ecc… Di momenti telefonati se ne trovano a volontà, è inutile nasconderlo.
Credo però che la serie abbia anche diverse qualità, che ne fanno un prodotto una spanna sopra qualunque agiografia o canile da generalista. Nei momenti in cui si lascia un po’ più andare a un umorismo cinico, vagamente surreale, per esempio, funziona benissimo: notevole l’incontro tra Notte e Berlusconi nei bagni Fininvest, in cui il Cavaliere (di cui vediamo solo i piedi) si raccomanda di “pulire l’asse, o gli altri penseranno che sei stato tu”; abbastanza gustose le scene alla scuola steineriana, e perfino quella in cui Draper, pardon Notte, spiega all’imprenditore della brugola che le sue viti le deve promuovere negli intervalli di Non è la Rai, di modo che rimangano perennemente associate nell’immaginario del bricoleur della domenica alle giovani lolite di Boncompagni.
Quello che riesce meglio alla serie è trasformarsi nella madeleine che noi trentenni ci meritiamo: affollata di schermi televisivi che a volte riempiono l’immagine con la loro bassa definizione, 1992 è costellata di riferimenti all’immaginario pop della nostra infanzia. Non amarmi e la coppia Baldi-Alotta, i siparietti di Non è la Rai, la sigla di Buona Domenica cantata dalla Cuccarini, il motivetto di Casa Vianello, non sono soltanto delle citazioni: per chiunque sia stato bambino o ragazzino in quegli anni sono quasi degli stimoli pavloviani. Soprattutto perché eravamo troppo piccoli per guardarli “con spirito critico”, e non ne sapevamo nulla del berlusconismo, della spettacolarizzazione della politica, della funzione consolatoria del varietà della domenica, o di vecchi satiri che collezionano minorenni. E sì, senza dubbio 1992 non ci dice nulla che non sapessimo già su Tangentopoli o sull’ascesa dei partiti politici che hanno barattato le ideologie per il marketing. Però, se anche voi il giorno dopo averla vista avete canticchiato “Non amarmi perché vivo a LONDRA” (sì, per molti di noi diceva così) o vi siete ricordati di come Non è la Rai costituisse, malgrado la censura di qualche genitore preoccupato, un modello di riferimento che definiva in parte perfino la nostra identità (quella che “faceva Ambra” era sempre, rigorosamente, l’ape regina di ogni gruppo di amiche, per dire), allora un po’ lo avete capito perché eravamo destinati a rimanere inesorabilmente fregati.
Perché seguirla: perché non sarà Gomorra, ma è comunque una spanna sopra tutte le fiction
Perché mollarla: perché non sarà Gomorra, senza se e senza ma