CSI: Cyber – I ridicoli poliziotti dell’internet di Marco Villa
Una roba così brutta e così ridicola era difficile farla. Bella lì, CSI: Cyber
Era dal 2004 che non partiva un nuovo figlio del franchise CSI. L’ultimo era stato CSI: New York, chiuso nel 2013 dopo nove stagioni. L’anno precedente la chiusura era toccata al fratellino CSI: Miami. Risultato: fino a pochi giorni fa, l’unico CSI ancora in onda con episodi inediti era quello di Las Vegas, ovvero il capostipite. Inaccettabile per uno dei franchise più importanti nella storia della tv, che ha prodotto un totale di circa 700 episodi e che il 4 marzo ha registrato 765 episodi trasmessi in tutto il mondo nell’arco di sole 24 ore.
Ecco allora arrivare una nuova serie, tutta dedicata all’informatica. Si scrive CSI: Cyber, ma si legge CSI: L’internet ed è semplicemente ridicola. Protagonista è Patricia Arquette, che non ce la faceva più ad aspettare l’uscita di Boyhood e si è detta: “Vabbé, finora il CSI più scarso è durato nove anni, questo è pure tecnologico”. Povera Patricia, che scarsa lungimiranza. Che brutta cosa ritirare un Oscar e una settimana dopo andare in onda con questa roba. Già, perché l’Oscar è stato il grande ritorno di Patriciona, di cui ci eravamo volentieri scordati mentre faceva Medium. Ma CSI: L’internet sarebbe dovuto essere l’ennesimo tentativo di rilancio anche di James Van Der Beek, che ormai inizia a giocarsela con Matthew Perry in quanto a grandi ritorni mancati.
E invece no: CSI: L’internet è una roba proprio brutta. Il pilot è una specie di raccoltona di tutto quello che non ci piace nei crime: personaggi piatti e già stravisti, dialoghi talmente scritti e sopra le righe da sembrare Baci Perugina al luminol. In più si aggiunge l’eterno problema di tv e cinema nel trattare il mondo dei computer (prima) e di internet (ora). Di base c’è una questione visiva e di grafica, perché questa è gente in grado di farti degli effetti speciali della madonna ma non di creare interfacce credibili e che non risultino degli scimmiottamenti senza senso di quello che siamo abituati a vedere su uno schermo. Elemento presente anche qui con l’orrenda grafica del malware, che si espande come un virus sotto forma di testo rosso, andando a contaminare il codice verde. Brrrrr. Ben oltre il kitsch voluto delle ricostruzioni degli altri CSI.
A questo si aggiunge un problema strettamente narrativo: la super task force dell’internet viene mostrata come geniale e sul pezzo anche quando si limita a trovare informazioni dai profili del finto-Facebook nello stesso identico modo che usiamo tutti nei nostri momenti stalking. Altro segnale di scollamento dalla realtà e trattandosi del cuore della serie, è evidente che il problema sia gigantesco.
Quindi: incapacità di raccontare il mondo online, protagonisti per nulla credibili (James Van Der Beek sembra l’agente Burt Macklin di Parks and Recreation) e indagini imbarazzanti. Daje CSI: Cyber, daje che non vedi nemmeno la fine della prima stagione.
Perché seguirla: perché comunque è CSI e voi volete del gran bene a tutto quello che inizia con quelle tre lettere
Perché mollarla: perché è una cosa davvero ridicolissima