Bosch – Un crime di quelli seri di Marco Villa
Tratto dai libri di Michael Connelly, Bosch è un crime con un personaggio (e un attore) che spacca
Probabilmente c’è qualche legge cosmica che lo impone: se sei un network, non importa di che tipo, prima o poi devi fare un crime. Anzi: di solito è prima. E a questa legge non è sfuggita Amazon, che network in senso stretto non è, ma che nei giorni scorsi ha rilasciato i dieci episodi che formano la prima stagione di Bosch, serie basata sul personaggio e sui romanzi di uno che di gialli e thriller se ne intende parecchio, ovvero Michael Connelly.
Il Bosch del titolo è Hieronymus ‘Harry’ Bosch, detective della polizia di Los Angeles, uno di quelli tutti maledetti, con problemi con gli affari interni e mezzo dipartimento. Nel dettaglio, Bosch sta affrontando un processo per avere ucciso un sospettato in circostanze non chiarissime. Visto che non riesce a stare a casa, perché vive solo per il lavoro, non appena vede un possibile nuovo caso ci si butta a pesce e il nuovo caso in questione è il ritrovamento delle ossa di un bambino, ucciso presumibilmente una venticinquina di anni addietro. Un caso di quelli complicati, ma anche in grado di poter risollevare reputazione e carriera di quella gran pecora nera che è il nostro Bosch.
Bosch è interpretato da uno di quegli attori di cui potresti non conoscere il nome, ma che hai visto un migliaio di volte, ovvero Titus Welliver, il più cattivo degli irlandesi di tutta Sons of Anarchy e guest star di metà delle serie degli ultimi dieci anni. Lui è un gran figo, uno di quelli con il carisma che gli esce anche dai gomiti e con una recitazione sempre giocata per sottrazione. Intorno a lui, dalla visione dei primi due episodi, c’è davvero il deserto, non per scarso livello degli attori, ma per il semplice fatto che gli altri personaggi sono tutti tre passi indietro rispetto a Bosch per approfondimento e forza (compreso il capo della polizia, interpretato da Lance Reddick, il Broyles di Fringe, alla novantesima volta nello stesso ruolo).
Una serie crime così legata a un singolo personaggio può essere un problema, perché il rischio scarso dinamismo è sempre lì a due metri. Nei primi due episodi non è così, grazie a una scrittura che porta avanti tutti gli elementi con calma e misura, senza sfociare nella noia e senza piegare il racconto alla scansione in puntate. Come già successo con altre serie di Amazon (tipo Transparent e Mozart In The Jungle), il racconto non viene mai subordinato alla benché minima chiusura verticale: l’impressione è che la mega-indagine di Bosch verrà semplicemente porzionata in 10 parti, senza stare a dare troppa attenzione agli archi narrativi delle singole puntate. Ovvio, qualcosa c’è, ma in misura molto minore anche rispetto a un The Killing, per dire.
Se il rischio è la lentezza, la sicurezza la danno i nomi che si occupano del pilot, ovvero lo stesso Michael Connelly e Eric Overmyer, già socio di David Simon in Homicide: Life on The Street, Treme e – soprattutto – The Wire. Proprio The Wire potrebbe essere uno dei riferimenti più cercati dalla serie, che, pur essendo chiaramente un crime, sembra voler privilegiare l’approfondimento del personaggio.
Il successo o il fallimento di Bosch passerà tutto dalla capacità di tenere in equilibrio toni in minore, minimalismo della recitazione e scavo dei personaggi. Se questi elementi non uccideranno l’avanzamento dell’indagine, saremo davanti a una signora serie. I primi due episodi danno la sensazione che questo sia più che possibile. Noi lo speriamo fortissimo, perché Titus Welliver merita finalmente un personaggio in grado di restare nella testa dello spettatore
Perché seguirla: per i nomi degli autori e per la voglia di allontanarsi dal crime classicone
Perché mollarla: perché lentezza e misura potrebbero trasformarsi in stasi e noia