Fortitude – La serie tv crime scritta e girata come se fosse un horror di Marco Villa
Fortitude è una storia di omicidio nei ghiacci, raccontata in modo diverso dal solito
La serie più bella del 2014, secondo Serial Minds, è stata Fargo. Una serie basata su morti, indagini, gusto del grottesco e tanta, tanta, tanta neve. Di questi quattro ingredienti, almeno tre tornano in Fortitude già da una veloce lettura della trama e dalle foto promozionali. La firma sulla sceneggiatura della serie, poi, è quella di Simon Donald, che aveva fatto intravedere buone cose con Low Winter Sun, pur senza riuscire a trovare una quadra che fosse davvero convincente. Con Fortitude ci riprova e il doppio pilot è qualcosa di molto buono da cui partire.
Fortitude è il nome della fittizia cittadina delle Isole Svalbard in cui è ambientata questa serie tv, la prima prodotta da Sky Atlantic (dove va in onda, Italia compresa, dal 30 gennaio). Le isole Svalbard fanno parte di quei luoghi che nessuno sa esattamente dove siano (spoiler: qui, molto più a nord di quanto pensaste, vero?), ma che fanno venire subito in mente delle immagini. In questo caso: neve, ghiaccio, freddo. A Fortitude abita poca gente, meno di mille persone, in gran parte minatori e ricercatori. I primi non serve spiegare cosa facciano, i secondi studiano clima e fauna del luogo. Oltre a loro, c’è ovviamente un po’ di gente che lavora nei negozi e nei servizi vari, tra cui una governatrice, qualche poliziotto e vari medici. Nonostante il clima piuttosto frescolino, Fortitude viene descritta come una sorta di paradiso: tutti lavorano, nessuno è povero, nessuno commette crimini.
La polizia, insomma, si limita a controllare che i rari turisti e visitatori non se ne vadano in giro mettendo a rischio la propria vita. Perché sarà anche un paradiso, ma per ogni abitante ci sono almeno 4 orsi polari. E non sono esattamente dei cuccioloni. Nonostante questi Teddy Ruspin delle nevi, tutto scorre tranquillo, fino a quando il capo dei ricercatori non viene ucciso in casa propria in modo parecchio cruento. E da lì parte l’indagine, che, come da tradizione, andrà a svelare tutti i segreti degli abitanti di questo posto dimenticato dall’iddio.
Lo so, ho detto praticamente nulla sulla trama, ma è voluto: guardando questa ora e mezza nei ghiacci, è evidente che il ruolo principale di questa serie non è quello affidato a uno dei personaggi, ma quello del luogo che dà il nome alla serie stessa. Puntata dopo puntata scopriremo sempre più cose del poliziotto che non la conta proprio giusta, della governatrice che vuole fare affari e del paramedico che riesce a trombare all’aperto con meno ventimila gradi (inserire qui battuta su temperatura e dimensioni del membro. Fatto? Adesso ridiamo insieme: ahahahahahah), ma tutto sarà sempre subordinato all’atmosfera di Fortitude, intesa come città.
Un’atmosfera lugubre, cupa, quella di un luogo “oltre”, che non è più il nostro mondo, ma nemmeno uno nuovo. Il clima è vicino a quello della città di Les Revenants, uno dei luoghi più terrificanti mai visti in racconti non propriamente horror. Del resto, Fortitude è interamente basata su questo slittamento: a fare i conti con quello che accade, si tratta di una normalissima storia di omicidio, ma messa in scena e scrittura sono quelle di una serie horror. È questo l’elemento più interessante di Fortitude, quello che riesce a bilanciare uno scavo nei personaggi che punta forse troppo sul drammatico e sull’intenso, come se fossero tanti piccoli Kierkegaard in cerca di una risposta ai grandi quesiti dell’universo (True Detective insegna).
Ultima cosa: c’è Stanley Tucci nella parte di un poliziotto arrivato da fuori per indagare. E Stanley Tucci è uno di quegli attori a cui si vuole sempre un gran bene.
Perché seguirla: perché l’ambientazione e lo stile di scrittura e messa in scena sono super
Perché mollarla: perché c’è il rischio che si faccia il passo troppo lungo, soprattutto nella caratterizzazione dei personaggi