The 100 – Il ritorno dei ragazzini che si trucidano di Francesco Martino
Il Martino alle prese con i pregiudizi su CW e una premiere tutto sommato divertente
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Se avete avuto modo di leggere qualcuno dei miei articoli usciti su Serial Minds avrete bene a mente il mio enorme pregiudizio verso tutto ciò che porta lo stemma CW. Muscoli, modelle e scarse capacità recitative sono solitamente i tre punti saldi di qualsiasi produzione del canale americano, che nel corso degli anni ha però alternato cose come 90210 a prodotti mediamente godibili.
Nella lista delle première della scorsa stagione spiccava il nome di The 100, teen drama che rubava elementi da Il Signore delle Mosche declinandoli in salsa sci-fi e buttandoci dentro robe del tipo “siamo gli ultimi sopravvissuti dopo un disastro x”. Pur non rappresentando nulla di sconvolgente la serie aveva saputo fare il suo, evidenziando, nel corso della prima stagione, tanti pregi quanti difetti, soffrendo terribilmente per l’assenza di un personaggio davvero carismatico, ma riuscendo a “portare a casa la pagnotta” con una narrazione lineare e senza fronzoli.
All’alba della seconda stagione le aspettative non erano certo elevatissime, anzi, nel momento in cui ho premuto il tasto play l’unico pensiero che mi balenava nella mente era “chissà se domani pioverà…”.
Adesso però faccio una decisa marcia indietro, e ammetto serenamente che la season première di The 100 mi ha divertito, e molto. Il motivo è semplice: questo show è la sintesi perfetta della parte buona della filosofia CW, quella che accanto allo sbrodolamento teen ricerca soprattutto l’intrattimento pop.
Partiamo dalla base, dalla prima cosa che salta all’occhio vedendo l’episodio: The 100 è una serie estremamente violenta ed esplicita. Certo, non siamo davanti a un film di Saw, ma fa comunque strano vedere headshot con asce volanti e fiumi di sangue in un canale in chiaro che solitamente riesce a essere politicaly correct anche in contesti teoricamente violenti come quelli di un Arrow di turno, dove in ogni puntata volano almeno un centinaio di frecce.
Questo tipo di violenza, mai esagerata ma ben inserita nel contesto del telefilm, mette in luce la vera natura dello show, quella di enorme videogame seriale. Oltre ai rivoli di sangue che possono ricordare mille delle più famose produzione videoludiche, si nota facilmente anche la grande semplicità con la quale la première introduce i nuovi elementi, le nuove ambientazioni e i nuovi personaggi.
Se precedentemente il “primo livello” era rappresentato dalle foreste della Terra e dall’astronave abbandonata nello spazio (la cui semi-scomparsa dalle trame è solo motivo di gioia per il sottoscritto) in questo nuovo episodio veniamo subito introdotti al nuovo scenario, quello della città sotterranea ultimo baluardo della civiltà, con la semplicità e l’immediatezza di una cut-scene presa da un videogame. Insieme a questa troviamo poi le più classiche delle situazioni, come il presidente despota e la costante sensazione di pericolo.
Questa standardizzazione, che spesso fa rima con banalità, non è però necessariamente un difetto, sia perché ci dà comunque modo di godere di un prodotto semplice e che non vuole mai strafare, e soprattutto perché i riferimenti utilizzati per “prendere spunto” sono comunque degni di nota.
Un esempio? Lost, con l’idea del “non siamo soli su quest’isola” presa di forza dalla serie di Abrams e declinata in salsa pop e teen – ossia con la classica storia d’amore melensa.
Se a tutto questo aggiungete una narrazione quasi sempre orizzontale e dunque votata allo sviluppo sul medio-lungo periodo piuttosto che sul cotto e mangiato, avrete una serie senza pretese ma in grado di intrattenere. Soprattutto, figlia diretta della sua generazione, dalla quale ha assorbito quanti più riferimenti culturali possibili dando a questa seconda stagione una direzione a metà tra il romanzo young adult e il drama televisivo più classico.