Red Band Society: non li batti i ragazzini malati di Diego Castelli
Temevamo il peggio, e invece no
Ci sono pochi dubbi sul fatto che il concept di Polseres Vermelles, serie catalana del 2011, sia esportabilissimo: parla di amicizia tra bambini in un ospedale, e in qualunque paese del mondo ci sono i bambini malati, gli ospedali e l’amicizia.
Un’idea semplice, insomma, nata dalle esperienze personali del creatore Albert Espinosa e già trasposta in Italia da Rai Uno con il nome di Braccialetti Rossi. Da noi è stata una delle fiction più apprezzate dello scorso anno, ma non ne parlerò oltre perché al lavoro sono concorrenti e sento le fredde dita del conflitto di interessi che mi solleticano le caviglie.
La versione americana dello show, chiamata Red Band Society, ha avuto vita travagliata. Il remake era già previsto nel 2011, e il progetto era nelle mani della co-creatrice di Friends, Marta Kauffman. ABC decise poi di non procedere, e due anni dopo è stata FOX a farsi avanti, affidando il remake a Margaret Nagle, diventata famosa nel 2005 per il tv movie Warm Spring, da lei scritto e vincitore di 5 Emmy Awards. Poi giusto per non sbagliare FOX ha messo dentro anche Steven Spielberg a fare il produttore esecutivo, che ormai il povero Stefano ha perso completamente il conto delle serie a cui in teoria dovrebbe lavorare.
L’ho fatta lunga senza un grosso perché. Per cui adesso mi spiccio.
Il pilot di Red Band Society è bello. Ed è bello, in particolar modo, perché non è brutto come si poteva pensare.
Lasciate stare la fiducia che si può avere nella normale solidità della tv americana e di FOX in particolare, e lasciate perdere pure il nome della Nagle.
Red Band Society parla di ragazzini malati che diventano amici tra le stanze d’ospedale. E uno di loro è in coma, e parla agli spettatori da una sorta di pre-aldilà da cui può sparare amore e pillole di saggezza.
Insomma, c’è tutto l’occorrente per una roba smielosissima, oltremodo retorica e che punti solo alla lacrima facile.
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Considerando queste aspettative – questo terrore direi – si può tirare un bel sospirone alla visione di un pilot ritmato, ben scritto, tutt’altro che stucchevole.
Il tema è quello che è, e la lacrima ve la dovete aspettare. Ma non c’è nulla di male in questo, non c’è alcun problema nel mostrare i sentimenti o nell’introdurre storie che possano commuovere. L’errore lo fai quando quelle storie, quella commozione, diventano l’unico obiettivo del tuo racconto, ingolfando di zucchero una trama che magari avrebbe altre potenzialità.
Red Bad Society non commette questo errore, riduce i momenti da fazzoletto a poche scene ben costruite e molto ben musicate (che a quel punto commuovono sul serio) e lascia il resto a un racconto di ragazzi, né più né meno, in cui il divertimento, la goffaggine e i classici momenti buffi degli adolescenti si mescolano con sorprendente facilità con le ansie e le paure tipiche della vita ospedaliera.
I personaggi di Red Band, in questa prima fase, sono tagliati un po’ con l’accetta: il narratore in coma; la cheerleader bella e stronzissima che dovrà commuoversi anche lei (nelle versioni catalana e spagnola, lo dico per curiosità, questo personaggio è maschile); il paziente di lungo corso che è un po’ il leader carismatico ed emotivo della banda, nonché il primo utilizzatore dei famigerati braccialetti rossi; l’amico scemotto ma molto simpatico (nonché etnicamente e connotato). E poi il personale ospedaliero, dal più anzianotto e burbero al più giovane e ingenuo.
Sono divisioni un po’ nette, che andranno smussate nel corso degli episodi, ma che non infastidiscono proprio perché il pilot, denso di personaggi tutti nuovi per lo spettatore, ha bisogno di essere prima di tutto comprensibile e facilmente assimilabile.
Se il cast mi pare più o meno azzeccato in tutte le sue componenti – tra gli adulti c’è anche qualche volto più noto, come Octavia Spencer e Dave Annable, ma sono proprio gli attori giovani a spiccare con grande naturalezza -, a fare la differenza è comunque la sceneggiatura della Nagle, che accoglie le linee guida dell’originale unendole a tutte le regole più efficaci della scrittura hollywoodiana, per ottenere l’effetto sperato senza farci sentire partecipi di una gretta soap opera. Talmente precisa, la scrittura di questo episodio, da esporsi quasi a critiche di prevedibilità, proprio perché l’occhio più esperto non avrà difficoltà a cogliere (e prevenire) tutti i trucchi e trucchetti del classico racconto americano.
Però oh, avercene di gente che i trucchetti li sa usare con questa disinvoltura.
A dare spessore al racconto ci sono poi alcune precise scelte registiche e scenografiche, che in più di un’occasione riescono a dare risalto, senza parlare, all’atmosfera in cui si muovono i personaggi: penso soprattutto alle decorazioni nelle varie stanze, organizzate per sottolineare ulteriormente i caratteri dei personaggi e, talvolta, per creare silenziosi confronti. Si veda ad esempio l’inquadratura che divide il mondo di Charlie (in coma, ma molto amato) da quello di Kara, nuova arrivata, fin troppo loquace e senza manco un amico vero.
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Certo, in finale di recensione vi devo comunque mettere in guardia. Ok, il pilot è più ritmato, più divertente e più stratificato di quanto potessimo temere. Ma ciò non toglie che la commozione per i ragazzini malati e per la loro amicizia c’è. Lo show è questo. Anzi, deve essere questo, quindi se questa impostazione di base vi infastidisce, il rischio di rigetto esiste comunque.
Tanto più che possiamo anche trovare quelle due-idee-due che sembrano pensate apposta per irritare i senza cuore come il Villa: tipo il fatto che Charlie riesce a incontrare nel limbo del coma i compagni d’ospedale, che ci finiscono a turno ora per un attacco di cuore ora per un’operazione.
Una botta di simil-soprannaturale che, quando arriva, va barcollare pericolosamente la serie in cima all’abisso del dolcificante più tossico.
A mio giudizio non ci cade mai davvero, nell’abisso, ma qui sono anche gusti…
Perché seguirla: scrittura fluida, buoni interpreti, un concept semplice ma efficace. Soprattutto, il miele è tenuto abilmente sotto controllo.
Perché mollarla: malgrado tutto rimane una serie di buoni (buonissimi) sentimenti, quindi se siete più per le tragedie alla SoA o Breaking Bad, questa potrebbe comunque risultare dolciastra.
PS mi è venuto in mente ora un dettaglio: ho il timore che Red Band Society sia del tutto irrealistica. Un ospedale che sembra un hotel, stanze singole arredate come se i pazienti fossero a casa loro… Non sono abbastanza esperto di questi esempi di lunga degenza, ma mi pare tutto un po’ eccessivo. Detto questo, a me della verosimiglianza di solito non frega niente. Però ve lo dico, per completezza.