Legends – La serie in cui Sean Bean non muore! di Diego Castelli
Non che sia necessariamente un bene…
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OCCHIO AGLI SPOILER!
La notizia più grossa è forse quella del titolo. Oggi parliamo di un progetto audiovisivo in cui il personaggio interpretato dall’attore inglese Sean Bean non muore quasi subito.
Ormai diventato l’oggetto costante dell’affettuosa ironia della rete, il buon Bean è morto in quasi tutti i prodotti di grido a cui ha partecipato: su tutti Il Signore degli Anelli (dove trapassava a metà del primo film), e ovviamente Game of Thrones, dove il nome di Ned Stark continua a echeggiare nelle lande di Westeros, ma intanto l’hanno decapitato e Sean Bean è tornato a casa.
Stavolta invece gli hanno dato una serie tutta sua, e di certo il protagonista non può essere ucciso così, subito. Ma sarà meglio andarci cauti, che con questo qui non si sa mai.
Veniamo a noi: Legends – basato sul romanzo Legends: A Novel of Dissimulation di Robert Littell – è un crime/spy dal piglio action, in onda su TNT e incentrato sulla figura di Martin Odum, un agente la cui principale caratteristica è quella di essere un esperto d’infiltrazione sotto copertura, un maestro della dissimulazione, un mago delle false identità.
In pratica, per dirla un po’ brutalmente, Odum è un attore della madonna, capace di dar vita a credibilissimi alter ego (le “legends” del titolo) che gli consentono, col supporto della squadra che a partire dal pilot ne segue le mosse, di infiltrarsi in mezzo ai criminali più pericolosi.
Tutto bene finché non compare un tizio col cappuccio (sempre, SEMPRE sospettare dei tizi col cappuccio) che gli dice “oh, guarda che non lo sai mica chi sei veramente, ma aspetta che muoio prima di poterti dare altre info”.
Prima della visione del pilot, l’appartenenza di Legends al mondo TNT setta già alcune aspettative di base. E’ difficile trovare un prodotto TNT che sia un “capolavoro”, ma è ugualmente complesso trovare le “schifezze inenarrabili”. Rizzoli & Isle, Falling Skies, Franklin & Bash, The Closer, Murder in the first, The Last Ship, tutte serie per cui non vale la pena strapparsi i capelli, ma che portano avanti i loro racconti con buona solidità e che in fondo si fanno volere abbastanza bene, chi più, chi meno.
Ecco, diciamo che Legends le prova un po’ tutte per essere la prima schifezza di TNT. Alla fine non ce la fa, ma dobbiamo comunque disprezzare lo sforzo.
Il problema principale – che per puro caso già trovai nella recensione per-nulla-contestata di Outlander, altra serie tratta dalla letteratura – è un approccio fastidiosamente didascalico, unito a una blanda genericità.
E’ vero che Legends sembra molto specifico, volendo trattare di un preciso agente con precise abilità, ma a conti fatti il pilot rimane sulla superficie di un racconto genericamente spy, genericamente action, senza guizzi (né visivi, né di scrittura) che giustifichino chissà quale entusiasmo.
E per quanto riguarda l’approccio didascalico, il problema è il solito: voler spiegare a parole cose che uno spettatore vagamente navigato ha già capito perfettamente seguendo immagini e dialoghi fino a quel momento. Ma in realtà non serve neanche che sia navigato, bassa essere una creatura senziente di qualche tipo.
Ne esce azzoppato il ritmo, troppo altalenante, e in generale l’interesse per una storia che non riesce a essere più di tanto originale rispetto a quanto siamo abituati a vedere.
Lo stesso twist finale, cioè il fatto che ci sia del mistero nella stessa identità di Martin Odum (in teoria l’unica “vera”) riesce ad aggiungere qualcosina al quadro generale, ma non ti fa andare a letto rigirandoti per ore al pensiero che il povero Martin non è chi crede di essere. Voglio dire, The Bourne Identity è un film di dodici anni fa.
Per una volta, comunque, mi sembra che la messa in scena faccia più danno di una scrittura banalotta. Perché insomma, lo sappiamo che non sempre una serie dev’essere un mostro di originalità per essere seguita. E comunque qualche tema potenzialmente interessante c’è: su tutti quello della doppia (anzi tripla, anzi quadrupla) identità di Martin, che potrebbe essere sia pretesto per un po’ di suspense, ma anche per qualche approfondimento psicologico di pregio, nella misura in cui il pover’uomo è costretto a chiedersi, letteralmente, “chi sono io?”.
Il problema riguarda però una modalità di racconto che dovrebbe essere svelta e accattivante, e che invece zoppica tra scene piuttosto mosce, parecchio già viste, che non sembrano nemmeno particolarmente costose (brutto da dire, ma spesso qualche centinaio di migliaia di dollari in più su un episodio possono coprire parecchie magagne).
Il che mi stupisce, considerando che in cabina di regia (e nella sala dei produttori) c’è Howard Gordon, uno che ha lavorato a lungo su serie come 24 e Homeland, dove invece la tensione è sempre alta e dove non sei quasi mai costretto a pensare “bah, questa scena potevano girarla molto meglio”.
Se Legends non va incontro a una bocciatura definitiva lo si deve a qualche speranza per il futuro ma, soprattutto, a Sean Bean. Il carisma dell’ex Boromir è innegabile, con quella faccia solida ma espressiva e un ventaglio di possibilità attoriali che pare più ampio rispetto a quello di molti suoi colleghi.
Il pilot di Legends punta molto sulla capacità di Bean di passare da una personalità all’altra usando pochi tratti del volto e piccole variazione negli abiti, e bisogna dire che la cosa funziona nella maggior parte dei casi, restituendoci davvero la “bravura” del personaggio, che dovrebbe essere per lui croce e delizia e rimarrà il tema centrale della serie.
Peccato però che, ancora una volta, il resto scricchioli: scricchiolano i comprimari, mal scritti e solo decentemente interpretati (che tristezza la scena in-teoria-sexy di Ali Larter in tenuta da spogliarellista). Peccato che, di nuovo, una regia speso goffa renda il giochino troppo pacchiano, come quando Martin riesamina con i colleghi la biografia del suo personaggio fittizio, finendo con l’immedesimarsi a tal punto da “scomparire” in favore del suo alter ego. Idea interessante, passaggio quasi obbligato, ma davvero troppo rapido e inverosimile nelle modalità con cui viene descritto. Improvvisamente sembra di trovarsi dentro un borioso laboratorio teatrale più che in mezzo ad agenti segreti, e la cosa non funziona come gli autori speravano.
Insomma, un inizio non particolarmente brillante. Magari gli do ancora qualche episodio, per vedere fin dove più spingersi la versatilità di Bean e per capire se la storia orizzontale riesce a svilupparsi in modo meno banale (perché le potenzialità le avrebbe). Ma se fossi costretto a scegliere solo ed esclusivamente sulla base di questo pilot, allora no, passiamo oltre, ché settembre è vicino e già temo l’esercito di nuove serie…
Perché seguirla: Sean Bean è bravo, e la storia orizzontale potrebbe anche diventare interessante.
Perché mollarla: poca tensione, nessuna idea realmente originale, personaggi secondari di cartapesta.
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