Extant – Quando Halle Berry andò nello spazio di Diego Castelli
E tornò con la pagnotta nel forno
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Continua il sempre più costante approdo di grandi attori del cinema sul piccolo schermo, a riprova del fatto che la produzione televisiva ha ormai trovato una sua pienissima dignità, tanto da attirare artisti solitamente abituati al “one shot” ma interessati a sondare le possibilità offerte dal racconto seriale.
Stavolta tocca a Halle Berry, premio oscar 2002 per Monster’s Ball e sex symbol ora in età da dignitosissima milf. La sua serie d’esordio è Extant, drama fantascientifico in onda su CBS, creato dal quasi esordiente Mickey Fisher ma pesantamente influenzato dal produttore executivo Steven Spielberg (che parlando di tv è sempre un’incognita).
Il perché di questa influenza è presto detto. Protagonista di Extant è Molly Woods, astronauta rimasta per tredici mesi nello spazio, che torna sulla Terra e si ritrova incinta (WTF?!?) dopo che nello spazio ha avuto qualche problemino tecnico condito da visioni inquietanti del suo ex fidanzato.
Tornata a casa trova il marito John (Goran Visnjic), scienziato visionario costruttore di androidi, il “figlio” Ethan (con le virgolette perché non l’ha partorito lei, l’ha costruito John), e un buon numero di misteri che puzzano di complotto.
Come si può intuire, Extant riassume buona parte dei temi cari allo Spielberg autore di fantascienza: c’è l’incontro-scontro con l’ignoto, qui rappresentato da visioni ingravidanti che fanno subito pensare agli alieni; ci sono gli androidi e le questioni relative all’identità dell’essere umano; c’è la sete di conoscenza pinocchiesca del giovane Ethan, insieme miracolo della scienza e inevitabile “mostro” in mezzo ai “normali”; c’è il tema della famiglia e del rapporto tra genitori e figli, qui storpiato (come in A.I. – Artificial Intelligence) dal fatto che il figlio in questione non è umano. E via dicendo.
In questo senso, fin dal pilot Extant è una serie estremamente ricca. Tanti gli spunti di riflessione, per un genere non troppo frequente in tv e che quando viene messo in campo con la dovuta cura sembra sempre capace di aprire mondi finora inesplorati (anche quando, come in questo caso, tra i temi pur interessanti non ce n’è alcuno realmente “nuovo”). C’è persino il timore che la carne al fuoco sia troppa, che questo grande riassunto della poetica sci-fi spielberghiana sia fin troppo denso per dare a ognuna delle componenti il giusto peso e il giusto spazio.
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In realtà, sempre rimanendo legati a un punto di vista più filosofico-conoscitivo, il secondo episodio sembra rassicurare sulla capacità della serie di soffermarsi adeguantamente sui temi più meritevoli di approfondimento, dividendo di fatto la narrazione in due tronconi principali, verosimilmente destinati a intersercarsi con forza: da una parte la vicenda di Molly, della sua gravidanza e degli strani incontri spaziali, dall’altra la vicenda di Ethan e dei temi etici e tecnologici ad esso connessi. A questo, come già accennato, bisogna aggiungere il fatto che nessuno dei temi introdotti è realmente nuovo, consentendo quindi allo spettatore di rapportarsi subito con concetti che ha già incontrato altrove, al cinema e in tv (dove di viaggi spaziali ne abbiamo già visti a bizzeffe, di androidi pure, e non parliamo degli alieni).
L’altra faccia della medaglia evidenzia però quello a Extant manca: un po’ di ritmo e un po’ di coraggio. La regia e il montaggio sono sicuramente efficaci nelle scene più tensive e quasi tendenti all’horror, quando Molly viene messa nella condizione di cagarsi in mano (e noi con lei). Troppo spesso, però, questa suspense rimane concentrata in pochi, isolati punti, diluendosi per il resto in scene dal sapore troppo rarefatto, quasi silenzioso, in cui lo spettatore si trova immerso in un’atmosfera vagamente artificiale che, se è in parte spiegabile con l’abbondanza di effetti speciali e green screen più o meno visibili, d’altro canto rende il tutto troppo freddo, apparentemente privo di anima. Un quadro a cui non contribuisce il ciuffo di Halle Berry, una cosa inspiegabile quasi quanto la sua gravidanza aliena.
Soprattutto, Extant riesce nel paradossale e non troppo lodevole intento di essere una serie per sua natura “futuristica”, ma anche molto classica. Non c’è la vertigine audiovisiva di certi mostri sacri della fantascienza, e nemmeno (per ora) la ricerca spasmodica del mai visto e mai sentito, che invece dovrebbe sempre avere una parte (anche solo piccola) in ogni buon racconto sci-fi. Quella di Extant sembra invece una fantascienza di buone potenzialità, ma narrata col freno a mano un po’ tirato, sempre pronta a fare un passo indietro (visivo, dialogico) quando si rischia di finire in territori che potrebbero frastornare lo spettatore generalista di CBS.
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E’ un po’ un peccato, perché Extant ce le avrebbe le potenzialità di scuotere il suo pubblico, e sarebbe un peccato vedere queste potenzialità soffocate dalla paura di sbagliare e dalla voglia di non scontentare nessuno (finendo inevitabilmente per scontentare tutti). Oh, poi non è che si pretende sempre la visionarietà di un Utopia, sia chiaro, ma le potenzialità non espressa sanno essere più dolorose dell’assenza di potenzialità.
Vedremo come proseguirà nelle prossime settimane, tenendo conto che i dati del pilot sono stati buoni ma non ottimi, e che il profilo d’ascolto è stato un po’ più anziano di quanto CBS si aspettasse, segno ancora una volta di un racconto (fin troppo) riflessivo e forse non abbastanza impattante per il pubblico più giovane (che pure è tradizionalmente un target più adeguato alla fantascienza).
Perché seguirla: quella di Extant è una fantascienza corposa, costruita con criterio, non rivoluzionaria ma con buone potenzialità di sviluppo.
Perché mollarla: qualche lentezza di troppo e la banalità di alcune scelte fanno temere che quelle potenzialità non verranno sfruttate appieno, rimanendo a conti fatti nel paludoso ambito del già visto.