Crossbones – Non è che se hai John Malkovich sei a posto… di Diego Castelli
Storia di una serie buttata lì
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QUALCHE SPOILERINO SUL PILOT, MA ONESTAMENTE NON C’E’ GRANCHE’ DI CUI PREOCCUPARSI.
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Le serie tv sono un’attività dell’uomo, e in quanto tale sono soggette alle mode. Quello che ieri era bello e giusto oggi è noioso e stravisto, e quello che ieri era azzardato e pericoloso oggi è forte e di successo. E via così in un circolo inestinguibile, lo stesso circolo per cui oggi guardiamo con orrore a certe pettinature dei nostri genitori negli anni Settanta, esattamente come i nostri figli e nipoti ci prenderanno amaramente per il culo per il modo in cui ci rasavamo parte della testa nei lontani anni duemiladieci.
Tutto sto preambolo per dire che non credo, a mia memoria, di aver mai visto una serie tv sui pirati. Ne avranno anche fatte eh, però insomma, nel recente passato non me ne ricordo neanche una.
Oggi, con Crossbones, siamo già a due serie piratesce in sei mesi.
Il perché non lo so. Forse i mezzi tecnici sono cresciuti, consentendo una messa in scena più credibile della vita dei bucanieri (che non sono proprio la stessa cosa, ma a scrivere “pirati” un’altra volta mi pareva di ripetermi). O forse, sulla scorta di quello che diceva il Villa a inizio anno, c’è la voglia di superare il modello disneyano imperante in questi anni – veicolato da quel gran mattacchione di Johnny Depp / Jack Sparrow – per ridare ai predoni del mare quello spirito e quell’epica che la mano di Topolino ha annacquato nelle gag e nella matita per gli occhi.
Di Black Sails, la serie di Starz iniziata lo scorso gennaio, abbiamo già parlato. Buon prodotto, magari non epocale, ma comunque solido nella narrazione e soprattutto girato benissimo, con una fotografia a tratti sublime.
Con Crossbones, figlia del creatore di Luther Neil Cross e in onda su NBC, l’approccio è un po’ diverso. Tutta la serie gira intorno alla figura mitica di Barbanera, che in questo caso ha la faccia iper-pubblicizzata di John Malkovich. In pratica, almeno nelle intenzioni, siamo dalle stesse parti di un House of Cards: prendo un bravissimo attore cinematografico (di quelli a cui nessuno può dire proprio nulla) e lo metto al centro di una serie ambiziosa che diventa automaticamente un must see.
Poi però arriva la realtà, che alle volte sa essere la peggio puttana. E il risultato è che no, Crossbones non è l’House of Cards coi pirati.
La trama ha le sue stratificazioni, ma il nocciolo è chiaro: siamo nel ‘700, la Marina inglese domina i mari e vorrebbe dominarli sempre di più, Barbanera è il pirata più famoso del mondo, e la Corona invia segretamente un emissario (Tom Lowe) per scovarlo e ucciderlo.
Tutto il resto sono intrighi e dettagli di contorno, magari importanti – come la nuova, preziosa tecnologia che dovrebbe consentire agli inglesi di navigare in sicurezza – ma comunque accessori.
Al contrario di Black Sails, Crossbones è una serie corale solo per finta. Fin dal pilot è subito chiaro che lo scontro principale, fisico e intellettuale, è tra due uomini: Lowe, il soldato integerrimo e leale al proprio Paese, e Barbanera, il delinquente furbo e spietato. L’intento abbastanza evidente è di creare una lotta tra menti sopraffine, che combattono a colpi di lingua (nel senso di oratoria, brutti pervertiti), cercando di carpire informazioni all’avversario mentre intanto nascondono le proprie. Un po’ alla Hannibal, se mi passate il paragone un po’ azzardato.
Il problema, purtroppo, è che tutte queste buone intenzioni (o per lo meno intenzioni “legittime”) faticano a trovare degno sviluppo nel prodotto finale.
Crossbones non parte neanche malissimo, con una discreta scena di abbordaggio, un ritmo soddisfacente, qualche battuta gagliarda. Poi però la curva di interesse comincia inevitabilmente a calare. E il problema è che Crossbones, sostanzialmente, “ci prova troppo”. John Malkovich, proprio nel senso dell’attore, viene trattato come una specie di Dio in Terra. Si percepisce la volontà ossessiva di lasciargli le battute migliori e le migliori inquadrature, per permettergli di sfoggiare tutto il suo istrionismo anche a costo di imbastire scene non proprio azzeccatissime, vedi certe visioni notturne o goffe gag legate all’agopuntura.
I due protagonisti, Lowe e Barbanera, discorrono come i più navigati politici, nel costante tentativo di apparire personaggi intelligenti, spessi, una spanna sopra gli altri. Però, ancora una volta, l’intento è troppo palese, soprattutto troppo insistito, per non apparire posticcio. Perché se in Hannibal accettiamo un livello di introspezione psicologica persino maniacale proprio perché siamo in presenza di un serial killer che è contemporaneamente uno psichiatria (come dire, vale qualunque cosa), qui siamo di fronte a dei pirati. E per quanto possiamo apprezzare lo sforzo di fare qualcosa di “diverso”, cazzo, sono pirati! Vorremmo che sputassero per terra e si azzuffassero e si ammazzassero, mentre questi parlano, e parlano, e parlano. Ad esempio, Barbanera non perde occasione per descrivere quello che sarebbe disposto a fare a Lowe qualora non seguisse i suoi ordini, ma con una tale dovizia di particolari macabri (tutti descritti e nemmeno uno visto) da risultare fin troppo chiaramente pensata a tavolino da uno sceneggiatore che vuole far vedere quanto è figo Barbanera.
E sarebbe tutto più o meno accettabile – non bello, ma accettabile – se non arrivasse anche un momento proprio no. Verso la fine Lowe arriva molto vicino al suo obiettivo dichiarato, con un trucchetto tutto sommato intelligente, ma poi improvvisamente gli sceneggiatori devono essersi ricordati di stare lavorando a una serie e non a un film: ecco allora arrivare un personaggio importante sulla spiaggia (importante solo perché ci viene detto a voce in quel momento) che impone a Lowe di rinunciare al suo piano, perché ora la raccolta di informazioni è più importante della morte del pirata, che solo quaranta minuti prima pareva l’unico possibile obiettivo della missione. Tutto questo, tocca sottolinearlo ancora una volta, spiegato nel dettaglio con parole piane e semplici a prova di imbecille.
Se a questa scrittura a metà strada tra il pomposo e il facilotto (un risultato mica da ridere) ci aggiungete una regia niente più che ordinaria e degli ascolti sotto le aspettative (in una serata notoriamente facile come quella del venerdì), ecco che avrete per le mani un quadretto ben poco rassicurante.
E intanto Kevin Spacey ride, ride, ride…
Perché seguirla: perché siete appassionati di pirati e ora avete addirittura due serie da seguire, di cui una con John Malkovich.
Perché mollarla: da questi autori, questi attori e questi soldi ci aspettavamo semplicemente di più.
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