6 Maggio 2014 5 commenti

The Following Season Finale – Tutto a caso, e ci piace così di Vale Marla Morganti

Una serie schizofrenica, da guardare col pop corn

Copertina, On Air

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OCCHIO, SPOILER SUL FINALE DELLA SECONDA STAGIONE DI THE FOLLOWING!

E’ chiaro che The Following è una serie con tanti interrogativi. Il primo è: ma c’è ancora qualcuno che la guarda? Io e il buon Castelli siamo ancora aficionados, così come tipo 5 milioni di americani che hanno seguito il finale della seconda stagione, 3 milioni in meno della prima. Dato abbastanza scontato se si fa caso ai malumori sortiti dal primo atto della serie, e anche a tutti gli insulti che mi ero presa la prima volta che ne scrissi. Nonostante il fervore interiore che mi porta a scrivere fiumi di parole disarticolate nel tentativo di trasmettere lo stesso ardore, cercherò ora di essere clinica e puntuale.

Capisco chi ha abbandonato la serie. Non è semplice. Non perché sia colma di ramificazioni narrative o universi paralleli. Non è semplice perché non è facile crederle.
Avevo in mente un sacco di prolisse ragioni per iniziare a preparare il terreno.
Del tipo: la colpa non è di The Following, son quelli del marketing che due anni orsono crearono troppe aspettative, e quindi ora siete tutti delusi, perché il prodotto non ha dato quanto promesso dai trailer (ma dai siam quasi nel 3000, ancora credete ai trailer?).
Oppure: alla fine è un thriller poliziesco orizzontale, cioè è da digerire, bisogna entrarci dentro, non avete aspettato nemmeno 3 puntate, non avevate l’assassino da scovare CSI-style e vi siete annoiati. (Viziati.)
O ancora: forse James Purefoy non è poco bravo, è il suo personaggio che deve essere assolutamente impersonale, ma affascinante solo da un punto di vista mentale. (Ora Castelli mi scomunica).
O forse stuzzico le vostre papille seriali dicendovi che nella seconda stagione succedono veramente tantissime cose: nuovi personaggi, nuovi culti, la deriva religiosa, santoni da tv americana, la mamma chioccia killer con i figli gemelli killer e un sacco di figliocci acquisiti killer, storie d’amore più platoniche di quelle di Dawson, scene finali da buddy comedy con i due acerrimi nemici che se ne vanno in giro a pistole spianate tipo Arma Letale (?!?!?!?!?!), cene con i commensali morti, tantissima gente che muore, meritatamente o no. Anche questa stagione di The Following è come una mattanza di tonno, si buttano le reti a caso e chi si piglia si piglia. Basta che qualcuno perisca. Comunque non ci perdo più tempo, tanto se non sono riuscite le penne degli sceneggiatori di Hollivuud a tenervi legati alle sedie e alla serie, figuriamoci i miei scarabocchi grossolani.
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Per tagliare la testa al toro partiamo dall’ultima puntata. Dal mio punto di vista questo season finale ha dato qualcosa in meno di quello della prima stagione. Niente fiamme, ex mogli, nuove amanti, ex mariti, nemesi di protagonisti riuniti in un solo luogo con coltelli, pistole, boccini di DNA e colpi di lama sul finale. Il botto (bottarella), a questo giro, è arrivato forse qualche decina di minuti prima dei titoli di coda, stemperato poi dal gusto agrodolce degli spin off sentimentali. Il bacetto, un po’ telefonato, tra Mike e Max, molto Dawson’s Creek, però dai ‘naggioia al povero Mike gliela si doveva dare. Meno scontato l’amaro addio tra Ryan e Claire. Mr. Hardy, se ne faccia una ragione, lei mena rogna e la gente vuole starle lontano.

Per come era finita la prima, ossia con il cattivo (forse) morto, il buono cardiopatico con ferite multiple e la bella contesa sbudellata e agonizzante, e per come è proseguita la seconda, direi che il “finale aperto” fa quasi più paura che trovarsi in metropolitana (no, non ho ancora superato il trauma della prima puntata). Ma questo è secondo me il bello intrinseco di The Following. Succede tanto e succede tutto a caso, ma consapevolmente. E proprio l’andare a caso, per accumulo ed esagerazione programmatica, crea una consecuzione densa di accadimenti magari sono poco giustificabili, o irrazionali, non attendibili, ma che ti tengono con il pop corn che pende dalla bocca. Dal primo all’ultimo minuto. Per Dio stiamo parlando di un serial killer folle, idolatrato da persone folli e ricercato da gente che proprio bene non sta. Siamo cresciuti con le barzellette sui Carabinieri, da quand’è che abbiamo tutti la certezza che le forze dell’ordine siano sul pezzo? Siamo diventati seriali con Lost, da quand’è che cerchiamo certezze in una serie?
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Di elementi per screditare The Following ce ne sarebbero. E io non sono stata clinica e puntuale come promisi. Il fatto è che va così, non si trova un modo per spiegarlo. O almeno io non lo trovo. Non è la serie del secolo, certo, ma un po’ di nonsense non fa mai male. E soprattutto diverte. Una cosa non deve essere perfetta per piacermi, e soprattutto una cosa non perfetta non si deve metter l’abito della domenica per avere un altro sapore. Un Lord mi piace col tight; un pescatore con il vestito della domenica non serve a nulla, deve puzzare di pesce. Ryan Hardy e Joe Carroll secondo me sono bei pescatori che puzzano di pesce, eppure (o forse “quindi”) attendo impaziente una nuova stagione di pesca per nuove divertentissime avventure.
A caso.
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