Alpha House – Ovvero metti insieme John Goodman e Garry Trudeau di Marco Villa
Il creatore di Doonesbury e John Goodman insieme per Alpha House
Le premesse di Alpha House sono ottime e sono costituite da due nomi. Il primo è John Goodman, uno di quegli attori universalmente amati. Non è una star di prima grandezza, ma non troverete mai nessuno che dica: “mah, non mi fa impazzire”. Impossibile. Il secondo nome è Garry Trudeau, ovvero il creatore e autore di Doonesbury una delle strisce a fumetti più importanti e longeve al mondo, pubblicata dal 1970 un po’ dappertutto (si parla di oltre mille testate in tutto il mondo). Roba seria, insomma, a cui va aggiunto un altro elemento: Alpha House è una serie di Amazon, una delle prime prodotte e distribuite da quello che si propone come concorrente numero uno di Netflix. Le ragioni di interesse, quindi, sono tantissime e per forza di cosa le aspettative vanno di pari passo. E dopo il pilot non vengono del tutto soddisfatte, purtroppo.
Alpha House (i sottotitoli su Subspedia) racconta la vita di quattro membri repubblicani del Senato degli Stati Uniti. Per svolgere le loro funzioni abitano a Washington, ma sono dei fuorisede: per questo motivo affittano un appartamento e lo dividono tra loro. L’idea è brillante e in fondo non molto lontana dal concept di base di Community, ovvero: prendiamo degli adulti, caliamoli in una situazione tipica di un gruppo di teenager e vediamo come reagiscono. E ovviamente i protagonisti reagiscono da ragazzini: John Goodman è il politico esperto e annoiato, che si trascina in tutto quello che fa come il più svogliato degli studenti; Clark Johnson (già in Homicide: Life on the Street e The Wire) è il senatore scafato che attraversa ogni tempesta con imperturbabilità; Matt Malloy e Mark Consuelos sono rispettivamente il repubblicano omosessuale represso e il giovane rampante che si porta a letto tutte le tipe di Washington.
Attori e personaggi funzionano, la situazione di base pure, ma al pilot di Alpha House manca qualcosa che lasci il segno: non è positivo che la parte che resti più impressa sia l’intro, quella con il fulminante cameo di Bill Murray. Il resto dell’episodio si mantiene a metà strada tra il voler mostrare il dietro le quinte della politica e il tentativo di raccontare una storia di tre semplici uomini di mezza età (il giovane rampante è solo abbozzato nel pilot). Da questa sospensione dipende anche il fatto di non riuscire a trovare un tono: dato per scontato che non siamo dalle parti di The West Wing o House of Cards, va detto che non siamo nemmeno da quelli di Veep, la comedy di Armando Iannucci che ha trasformato tutto il mondo della politica americana in un branco di idioti.
Ovvio, potrebbe essere un semplice problema di equilibri che andrà poi sistemandosi nel corso della stagione, ma il pilot è proprio qualcosa che rimane lì senza dire niente, senza tirarti mai in mezzo. Allo stesso modo, non ti annoia, né ti spinge a dire che è brutto, ma a quel punto si torna al solito discorso sul tempo che abbiamo a disposizione e sulla quantità di serie che non riescono a decollare.
Perché seguirla: per i nomi coinvolti e per dare fiducia al primo progetto di Amazon
Perché mollarla: perché il pilot resta talmente vago e poco definito da non spingere in alcun modo a proseguire.