7 Febbraio 2014 1 commenti

The Spoils of Babylon – La mini-comedy strana, bella e inutile di Diego Castelli

Va bene essere di nicchia, ma non esageriamo!

Copertina, On Air

The Spoils of Babylon (3)

Per capire bene cosa sia The Spoils of Babylon bisogna fare un minimo di storia di… questa stessa recensione.

Ormai un mese fa, prima della partenza della miniserie di IFC (Indipendent Film Channel), il Villa mi disse “oh, c’è questa miniserie comica che promettono fighissima e con un cast clamoroso”.
La definizione era già di per sé abbastanza stuzzicante, considerando che di miniserie comiche ce ne sono proprio poche – di solito sono più drammatiche, o a sfondo storico, o sociale, ecc – e che quelle con cast clamoroso sono ancora meno.
E il cast è forte sul serio: Will Ferrell, Tobey Maguire, Tim Robbins, Jessica Alba, Val Kilmer, Kristen Wiig, Haley Joel Osment (che era il bambino de Il Sesto Senso, ora è l’adulto de Il Sesto Senso e fa impressione perché è uguale, solo più alto e più grasso). Insomma, tanta roba.

Quando finalmente abbiamo visto la prima puntata era innegabile che, in tanti aspetti, The Spoils of Babylon fosse una perla. Nonostante questo, però, ci abbiamo messo un mese a parlarne, e la miniserie è finita un paio di giorni fa.
Come si spiega sto fatto? Perché abbiamo ritenuto più importante parlare prima degli Sleepy Hollow, dei Community e degli American Horror Story? Persino dei Tre Moschettieri che, voglio dire, non erano esattamente la Grande Novita’ dell’anno…
The Spoils of Babylon

Be’, la colpa – anche se “colpa” è una parola un po’ ingenerosa – è proprio di Spoils.
The Spoils of Babylon nasce come parodia di certa tv americana degli anni Settanta e Ottanta, dove trionfavano proprio le miniserie-evento tratte da romanzi che raccontavano di grandi saghe familiari, intrighi tra potenti, dolori e tragedie dei ricchissimi.
“Le spoglie di Babilonia” diventa allora il titolo perfetto, adeguatamente pomposo e trionfale, per raccontare le disavventure della famiglia Morehouse, che partendo dalle difficoltà di un povero contadinotto (Jonas, interpretato da Tim Robbins) diventa una importante dinastia del petrolio e, poi, di tutta un’altra serie di aziende e attività.
Il vero protagonista però è Devon (Maguire), figlio adottivo di Jonas e perennemente innamorato della sua sorellastra Cynthia.
Il tutto introdotto da un Will Ferrell truccatissimo nei panni di Eric Jonrosh, ipotetico autore letterario di Spoils.

Avrete già capito che siamo nell’ambito del meta-meta-meta. Tutto, in The Spoils of Babylon, è concepito per riprendere, reinterpretare, e ovviamente prendere per i fondelli, tutto un certo modo di fare televisione, aulico, pomposo e smaccatamente teatrale.
E se dobbiamo guardare il livello tecnico e creativo della produzione, The Spoils of Babylon spacca: non solo per gli attoroni che può mettere in campo, ma proprio per la cura dedicata a ogni dettaglio, dai dialoghi alla regia, passando per scenografie, costumi e fotografia.
E’ tutto preciso, tutto perfetto, e alcune botte creative fanno scattare davvero gli applausi, come il fatto che la moglie di Devon (perché Devon ovviamente ha una moglie pur essendo innamorato della sorella, sennò dove starebbe il pepe?), è un manichino. Che non è una metafora per “donna frigida e dall’aspetto austero”. No no, è proprio un manichino, di plastica, che parla e diventa pure madre, ovviamente di un piccolo manichino.
Un livello di follia e surrealtà abbastanza marcato, dunque, che stimola la testa dello spettatore in modi talvolta sorprendenti. E basterebbe vedersi gli incipit di Will Ferrell, così autorevole e insieme così coglione, per rendersi pienamente conto del tono generale.
The Spoils of Babylon (2)

Se fin qui va tutto bene, e vale la pena applaudire lo sforzo creativo e intellettuale, poi ci si scontra con un paio di problemi apparentemente nascosti ma in realtà difficili da superare.
Il primo è paradossale: nel suo accuratissimo tentativo di parodiare una televisione “vecchia”, Spoils diventa vecchio a sua volta. Nel senso che i riferimenti narrativi e visivi che mette in campo rischiano di essere pienamente fruibili solo da un pubblico che quella televisione l’ha vissuta davvero, sulla sua pelle. Però è abbastanza difficile che un prodotto simile, con quell’approccio lì e quelle facce lì, sia visto da un pubblico di cinquantenni, anche su un canale dichiaratamente di nicchia come IFC. Ed ecco allora spiegati gli ascolti in caduta vertiginosa.
Il secondo problema è invece più tecnico: non potendo spaziare in temi e situazioni diversi – o meglio, dovendo rimanere legato ad ambientazioni e sottogeneri vintage – Spoils diventa ripetitivo dopo un paio di puntate. Se all’inizio siamo colpiti dal lavoro degli sceneggiatori, dei registi e degli attori, già al terzo episodio ci sembra di rivedere il primo, e il pomposo “finto” sembra quasi diventato pesante come il pomposo “vero”.

Si arriva dunque alla conclusione per cui The Spoils of Babylon merita di essere almeno intra-vista, perché è un esperimento televisivo di sicuro interesse e molto diverso da quello a cui siamo abituati.
Però rimane esattamente quello, un esperimento, che passato quel quarto d’ora di curiosità diventa inevitabilmente superfluo.

The Spoils of Babylon (4)



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